Opinioni

L'abolizione delle feste patronali: austerità o tracotanza?. Senza patroni in cielo rischiamo solo padroni in terra

Davide Rondoni sabato 10 settembre 2011
Loro no, non scioperano. I santi patroni, in un certo senso anch’essi vittime della manovra, non fanno cortei – o almeno le loro non sono sfilate di protesta. Non sono riuniti in comitati, associazioni di categoria o cose del genere. Non hanno scritto lettere aperte alle autorità. Se ne stanno in silenzio. Ma i cuori della gente no, si fanno sentire. Ovunque, sia che si trattasse della mite santa Rosalia o che fosse in ballo il dolce austero sant’Ambrogio, il cuore del popolo italiano ha avuto un sussulto. Come dire: ma no, loro cosa c’entrano?Vogliono togliere i giorni di festa legati alle feste patronali. In Italia, si sa, non ci siamo fatti mancare giorni di ferie, di ponti. Qualcuno dice che siano salutari per il turismo. Qualcun altro che siano salutari per tutti. Ma sono troppi, dicono alcuni altri. Allora tra i vari tagli – mentre si provvede a salvare enti forse anacronistici – un fendente ha tolto la possibilità di proclamare feste dedicate al patrono. I santi patroni hanno accolto la decisione in silenzio. Sarà perché loro sono sempre in festa, in Paradiso, e non sentono il problema come cosa che li riguardi più di tanto. Non sono giunte vibrate proteste dalle varie Madonne del Fuoco, dell’Olmo, della Pianta, del Lago. A proposito, quanti nomi belli ha Maria in Italia, che geografia di storia e fantasia, che topografia dell’amore, come la si onora in tanti luoghi questa ragazza da cui ha avuto via un "sì" libero tra gli uomini e Dio. Non sono giunti alle redazioni nemmeno comunicati firmati dal sindacato dei sant’Antonio. Insomma loro, i nostri patroni, tacciono. Ma noi, quelli che di un patrono sanno di aver bisogno, e più in cielo che in terra, non riusciamo a tacere. Noi, quelli che sono liberi in terra perché hanno patroni, padri, amici in cielo, non riusciamo a non dire: ma siete sicuri? Un popolo che non festeggia i patroni in cielo rischia di onorare solo i padroni in terra. Quelli che comandano la storia e fanno le feste per le loro vittorie.Un popolo che non festeggia visibilmente, concretamente, i suoi patroni in cielo, rischia di andare in solluchero e di finire servo visibilmente, concretamente di suoi padroni sulla terra. Giocando, ma non tanto, con le consonanti, si può dire che se togliamo i patroni ci restano solo i padroni. Quelli a cui interessano i nostri soldi, i nostri voti, le nostre idee. Mentre a quegli altri che stanno in cielo interessano le nostre ferite, le nostre gioie, i nostri segreti. Le nostre pene e i nostri amori. A loro li confidiamo, a loro li gridiamo. Per quello, spesso, i padroni in terra sono invidiosi dei patroni in cielo. Perché loro in terra vorrebbero pure il nostro segreto, le nostre pene, le nostre gioie. Insomma, la nostra anima. Che invece si rivolge ai patroni in cielo. Per chiedere fuoco. Per chiedere luce. E pazienza. Per l’anima e per la storia. Perché i padroni sulla terra credono di essere i padroni della storia. Ma non è così.I patroni in cielo ci ricordano chi è il Signore misterioso della storia. E allora il popolo e in taluni casi i rappresentanti del popolo si sono già mossi. Perché la festa del patrono non è una sagra come un’altra. Non è una scusa per far vacanza. È una festa che mette a fuoco una questione chiave nella vita: siamo come alberi che hanno le radici in cielo. Non si tratta tanto di difendere una festa sacra – modello a cui peraltro tutte le feste successive, dai festival di partito ai raduni rock, hanno guardato copiando – ma di non dimenticarci come siamo fatti, e com’è fatta l’Italia reale. Togliere le feste dei patroni significa mortificare il cuore d’Italia. Siamo sicuri che è quel di cui c’è bisogno? Pensano, i momentanei padroni della storia, che il nostro popolo – e proprio adesso – non abbia più bisogno di stringersi intorno ai propri patroni in cielo? Non vorremmo che un gesto travestito di senso di austerità nascondesse invece un’oscura e poco intelligente tracotanza.