Opinioni

L’Europa condanna il precariato di Stato. Sentenza che chiude spazi

Enrico Lenzi giovedì 27 novembre 2014
E alla fine sarà probabilmente una sentenza della Corte di giustizia europea a imporre di mettere fine al precariato nella scuola. Per il governo italiano una «bocciatura» sul rispetto delle regole nei contratti a tempo determinato che non possono perdurare all’infinito e che devono trovare una trasformazione a tempo indeterminato o prevedere una compensazione se ciò non avviene. Ma questo non è accaduto e ora il governo è chiamato a porvi rimedio. Soddisfatti i ricorrenti (alcuni docenti che hanno avuto contratti a tempo determinato fino a 71 mesi) che vedono riconosciuto un diritto sancito dalle norme. Un esito, però, che, pur riconoscendo diritti legittimi, lascia l’amaro in bocca per diversi motivi.Il primo perché tutto questo poteva essere affrontato per tempo e in modo più ragionato e flessibile. Ora gli spazi si fanno stretti e pure onerosi (due miliardi di euro secondo il calcolo delle organizzazioni sindacali che hanno presentato ricorso a livello europeo).Un secondo motivo di rammarico è che in tutti questi anni di riforme, controriforme, aggiustamenti non si è mai messo mano seriamente al canale di ingresso per la docenza, cioè i concorsi. E, anche se nel piano della «buona scuola» di Renzi si parla di riattivarlo in modo stabile, tutto il dibattito di questi ultimi mesi si è concentrato sull’assunzione di 148mila docenti dalle graduatorie, piuttosto che sul come regolarizzare in futuro l’ingresso degli insegnanti.Rammarico, anche se si dovrebbe parlare più correttamente di preoccupazione, per i giovani che aspirano a diventare un giorno docenti. Per loro, questa sentenza rischia di trasformarsi in un ulteriore chiavistello sulla porta di ingresso nella scuola. Già il piano di assunzioni previsto per l’anno prossimo rappresentava una diminuzione di spazi. L’immissione di ulteriori 100mila docenti potrebbe significare una chiusura definitiva per molti anni.La sentenza della Corte europea evidenzia ancora una volta come sia necessario cambiare passo «sulla» e «nella» scuola. Proprio per evitare che le soluzioni siano imposte per via giudiziaria e arrivino invece attraverso il confronto delle parti. Con il contributo di tutti.