Opinioni

La scelta di Verona. Segre è la storia giusta, Almirante il passato odioso

Ferdinando Camon giovedì 23 gennaio 2020

C’è un altro modo di porre la questione del razzismo, dell’antisemitismo e dello Sterminio, ed è questo: odiare, perseguitare e sterminare alcune razze, per consegnare il dominio del mondo alle altre razze, significava dire: «La creazione è sbagliata e noi la correggiamo; sono state create razze che non hanno il diritto di esistere, noi le eliminiamo; il mondo così com’era stato creato era difettoso, noi lo perfezioniamo; l’umanità dovrà esserci grata».

Il razzismo e lo Sterminio erano l’apice del fascismo e nazismo. Se fascismo e nazismo erano colpe, quell’apice era il vertice della colpa. E dunque: se Liliana Segre è una vittima della colpa razzista, un fascista sostenitore della superiorità della propria razza (e quindi dell’inferiorità della razza ebraica) è il vertice di quella colpa. Detto questo, è incoerente e contraddittorio che la stessa città, la bellissima Verona, offra la cittadinanza onoraria a Liliana Segre, sopravvissuta ad Auschwitz, e intitoli una strada a Giorgio Almirante, che fu segretario di redazione del quindicinale fascista 'La difesa della razza' che teorizzava e sosteneva l’antisemitismo.

Ci sono stati partigiani, e anche capi partigiani, che sentivano i combattenti nemici, perfino i repubblichini, come 'romantici' (parola usata da Giorgio Bocca, e mi dispiace che i più giovani tra i lettori non sappiano chi era, perché a suo tempo faceva opinione), cioè come soldati che, avendo cominciato la guerra da una parte, non volevano concluderla dall’altra parte, cioè uscirne come traditori. Ma il segretario di redazione della 'Difesa della razza' non aveva questo ruolo passivo e succube, non si trovò incastrato negli ingranaggi della storia, e costretto a muoversi come quelli lo giravano.

No, ebbe ed esercitò un ruolo di teorizzatore e guida. Era convinto, e lavorò per convincere gli altri, che l’Italia aveva bisogno di 'purificare' la razza per fare una storia più grande e vittoriosa. Di fronte al popolo che era perseguitato, cacciato e imprigionato, non stava come un osservatore impotente, ma come un incitatore e un teorizzatore, un nemico attivo. Se Liliana Segre e tantissimi come lei finirono ad Auschwitz, i teorici dell’odio razziale sono quelli che ce li hanno mandati. Come si fa, dopo tanto tempo, offrire a Segre la cittadinanza onoraria di Verona, e dedicare ad Almirante una strada di Verona? È una contraddizione storica, politica, etica: totale.

Offrire a Liliana Segre la cittadinanza onoraria è un modo per dirle 'siamo onorati di poterti chiamare nostra concittadina', la vita che hai vissuto e gli eventi che l’hanno segnata sono onorevoli per noi, vogliamo che questo onore ricada su tutta la città, la tua gloria è la nostra gloria, il tuo nome finisce nella tabula gratulatoria della nostra città, si può essere cittadino di questa città perché si è nati qui, per caso e senza merito, ma se sei cittadino onorario è perché la città ti sceglie, ti vuole e si vanta di te, e se ti sono stati inflitti dei torti la città li condanna e ne soffre con te. Il massimo torto che Segre ha patito è la condanna razziale, la deportazione nel luogo dove doveva morire.

La città di Verona vuol però dedicare una strada al responsabile di un giornale che patrocinava il razzismo. Dedicare una strada a un personaggio vuol dire indicare quel personaggio come modello, per tutti coloro che abitano lì o passano di lì e leggono il suo nome. Affinché ne siano fieri e facciano come lui. La doppia fierezza, per la vittima e per chi la voleva vittima, non è possibile. La vittima sta in una storia che s’è aperta allora e ha un futuro, chi la voleva vittima appartiene a un passato che non amiamo: lasciamolo lì.