Opinioni

Per poi buttarci a pesce sui reati degli immigrati. Se non smettiamo di difendere i figli che sbagliano

Marina Corradi giovedì 12 febbraio 2009
Sono già stati scarcerati i quattro ragazzi che in provincia di Brescia hanno violentato una compagna tredicenne durante una festa, dopo averla ubriacata. Il più ' vecchio', diciassettenne, è stato affidato a una comunità, gli altri, di 14 e 15 anni, sono agli arresti domiciliari, a casa, ma con il permesso di frequentare regolarmente la scuola. Lo stupro di Brescia è di una violenza tale, che non si può raccontarne i particolari. Se i colpevoli fossero stati degli stranieri, la quieta provincia bresciana sarebbe forse insorta, come la gente a Guidonia. Ma questi quattro – e altri compagni nemmeno imputabili perché non hanno ancora 14 anni – sono figli nostri. Allora, nessuna reazione pubblica. I genitori della vittima dicono: «Vorremmo essere abbracciati, e invece i vicini ci chiedono, curiosi, se quella dello stupro è proprio nostra figlia». Una terribile storia di paese, con i nomi dei protagonisti sussurrati di bocca in bocca. Fra pochi giorni quella ragazzina potrà incontrare sull’autobus o in piazza i suoi violentatori. Penserà che la violenza subita, per la legge, è un nulla. Forse, fuori dal carcere dopo appena 48 ore, anche i colpevoli saranno inclini a pensare la stessa cosa. Viene da chiedersi però se una società che libera in due giorni i violentatori di una tredicenne, fa davvero il loro bene. È come dire: non è successo nulla, è stata la sbronza, è stata una ragazzata. È questa sorta di leggerezza che spaventa. Questi non sono extracomunitari cresciuti nella violenza e nell’abbandono. Questi, sono figli nostri. Vanno a scuola, studiano l’inglese, hanno una famiglia e una casa e soldi e vestiti alla moda. Poi una sera, per ovviare alla noia, si fanno d’alcol o d’altra roba e si avventano su una compagna. Qualcuno filma con il cellulare, per potersi vantare con gli amici. Certo, un caso isolato, diranno gli ottimisti di natura, in mezzo a milioni di bravi ragazzi. Vero, ma è un caso isolato dopo l’altro caso dello straniero dato alle fiamme a Roma, e del clochard bruciato a Rimini, per gioco. Tre storie come queste in pochi mesi – storie di una gratuita brutalità che si accanisce sul debole – a noi invece incutono spavento. È come se la soglia fra la ' bravata' e la ferocia si fosse abbassata. Come se questa soglia non fosse più nemmeno esattamente percepita. E quasi sempre, a casa, si trova un padre o una madre che difende questi figli. A Roma, la madre del sedicenne accusato di avere con altri arso vivo un uomo ha detto a un tg che suo figlio è un bravo ragazzo, e che se davvero ha fatto quelle cose è perché altri ce lo hanno trascinato. Raramente abbiamo sentito dire da un padre: è vero, mio figlio ha fatto una cosa terribile. Forse perché, ammettendolo, bisognerebbe confessare a se stessi di avere, come padri, molto sbagliato. Viene da chiedersi, ancora, se questa leggerezza fa del bene ai quattro di Brescia, e agli altri. Se è voler bene, di fronte a un adolescente alto ormai come un uomo, sminuirne ogni responsabilità. Se non è tempo invece di parlare chiaro: hai violentato una ragazza, hai dato fuoco a un povero Cristo, hai fatto una cosa terribile. Apri gli occhi, guardati. E solo da questa piena coscienza riaccogliere, per ricominciare. Magari quasi da zero: da un lavoro faticoso, dalla coscienza che già un pezzo di pane è un dono, e ancora di più lo è la faccia di un amico. Se questi figli ci stessero a cuore, lo faremmo. Ma è più facile una pacca sulle spalle, non farlo più, mi raccomando. Invece di ammettere un fallimento drammatico, invece di avere il coraggio di spendersi nella fatica grande e straordinaria che è educare.