Opinioni

editoriale. Se i pensionati guadagnano più dei «ragazzi» di 40 anni

Pietro Saccò sabato 8 febbraio 2014
I trentenni italiani degli anni Settanta devono avere deciso che non avrebbero fatto la fine dei loro 'vecchi'. Erano gli anni giusti per essere un trentenne in Italia: si guadagnavano in media 3 milioni e 179mila lire all’anno, circa il 30% in più della media nazionale, che allora era di 2 milioni e 438mila lire. Nessun’altra fascia di età faceva tanti soldi. Gli ultra­sessantaquattrenni di allora, in particolare, guadagnavano meno di tutti: non arrivavano a 1 milione e 300mila lire l’anno, la metà della media. Ecco: se i giovani italiani di quarant’anni fa si sono posti l’obiettivo di non impoverirsi con il passare degli anni come coloro che li avevano preceduti, diciamo pure che ci sono riusciti benissimo. I numeri arrivano tutti dalle indagini campionarie sui redditi delle famiglie che la Banca d’Italia conduce fin dagli anni Sessanta. Dell’ultimo studio della serie, pubblicato un paio di settimane fa, hanno fatto molto rumore la crescita del numero di persone finite sotto la soglia della povertà e l’allargarsi della distanza tra ricchi e poveri. Non si è parlato per niente, invece, dell’incredibile distanza economica tra le generazioni che è stata raggiunta nel nostro Paese.
 
C​onviene segnalarla, allora, perché in Italia nel 2012 abbiamo assistito a un sorpasso memorabile: per la prima volta il reddito medio degli ultra­sessantaquattrenni ha superato quello dei trentenni: 18.716 euro all’anno i primi, 18.705 i secondi. Il sorpasso – che arriva dopo anni e anni di graduale avvicinamento – vale solo una manciata di euro, ma pesa un’enormità. Nella penultima indagine della Banca d’Italia, riferita al 2010, la distanza di reddito tra trentenni e over-64 era di 2.256 euro all’anno. Ma era ancora a favore dei più giovani. E non stiamo parlando proprio di giovanissimi. Scriviamo trentenni per ammorbidire la questione, dato che dal 2008 in avanti la Banca d’Italia ha riorganizzato le classi di età dell’indagine spostando in avanti il confine di quelle più giovani: un tempo la prima classe si fermava ai 30 anni, mentre adesso si allunga ai 34; la seconda copriva l’intervallo dai 31 ai 40 anni, mentre adesso inizia con i 35enni e si chiude con i 44enni e così via. Bene, è quest’ultimo gruppo, quello dei 30-40enni, che è stato superato a livello di reddito dalla categoria di chi ha più di 64 anni. Gli 'adulti' italiani che hanno già almeno una decina di anni di carriera alle spalle, quindi, guadagnano meno dei nonni dei loro figli, magari già a riposo da più di qualche anno. Quanto ai più giovani, quelli con meno di 34 anni di età, erano già stati sorpassati dai 'vecchietti' negli anni Novanta e oggi si devono accontentare di un reddito medio di 12.174 euro all’anno, solo il 62,9% della media. Senza contare che l’indagine si basa esclusivamente sulle persone che hanno un qualche introito e quindi esclude i milioni di giovani disoccupati o inattivi.
 
La Banca centrale europea, che da qualche anno mette assieme i dati sui bilanci delle famiglie, nell’ultima indagine non riscontrava una simile situazione di squilibrio generazionale in nessun altro Paese d’Europa. In questa strana Italia dove chi è in età da pensione ormai guadagna più di chi dovrebbe essere nel pieno della carriera è del tutto naturale che patrimoni e ricchezza siano roba da capelli bianchi. Anche in questo caso i numeri della Banca d’Italia mostrano sorpassi generazionali inesorabili e cadute vertiginose.
 
Nel 1991 le famiglie italiane più giovani, con un capofamiglia con meno di 34 anni, non erano ricche, ma nemmeno troppo povere: avevano una ricchezza netta pari al 71% della media nazionale, un dato assai lontano da quello dei nuclei di media età, con capofamiglia tra i 45 e i 64 anni, che vantavano un reddito pari a oltre il 130% di quello medio, ma comunque superiore al 68% delle famiglie più anziane, cioè con un capofamiglia con più di 64 anni. I giovani, insomma, nel 1991 non avevano grandi patrimoni, ma potevano sperare che dopo qualche anno il bilancio domestico sarebbe stato meno avaro: le famiglie della classe di età appena successiva alla loro, quelle dei 35-44enni, avevano infatti una ricchezza netta del 7% superiore alla media. Bastava lavorare sodo, e dopo qualche anno di lavoro in più era possibile avere accumulato un patrimonio non così trascurabile. Bastava, ma da tempo non basta più. Già negli anni Novanta quelle distanze si erano ridotte. E con l’inizio del nuovo millennio la tendenza alla disparità generazionale ha accelerato in maniera impressionante. I soldi, cioè, si sono spostati verso i più anziani, lasciando i giovani senza niente. Se nel 2002 le famiglie con capofamiglia tra i 35 e i 44 anni avevano una ricchezza netta pari al 92% della media nazionale, dieci anni dopo la quota era caduta al 59%. Un terzo in meno. Per le famiglie più giovani (capofamiglia sotto i 34 anni) la caduta è stata verticale: nel 2002 avevano una ricchezza netta pari all’82% della media nazionale, dieci anni dopo sono precipitati al 17,2%.
 
È come se la generazione dei nati negli anni Ottanta avesse fatto bancarotta. Ed è come se altre generazioni avessero vinto alla lotteria: non tanto quella dei 55-64enni, che è riuscita a rimanere la più ricca con patrimoni familiari attorno al 140% della media nazionale, quanto quella dei degli ultra-sessantaquattrenni, il cui patrimonio medio in questo decennio ha fatto un balzo dall’80 al 107% della media. Certamente non si è trattato di un 'piano' ordito dai trentenni degli anni Settanta ai danni delle altre generazioni, ma è un dato di fatto che una serie di scelte politiche, industriali e sindacali ha reso l’Italia di oggi un Paese nel quale i giovani sono poveri e senza prospettive, mentre gli anziani se la cavano decisamente meglio. «Chi tardi arriva male alloggia», dice un vecchio proverbio che si adatta perfettamente al Belpaese dei giorni nostri, dove una generazione debole nei redditi e nei patrimoni è chiamata a vivere di 'austerità' nei suoi decenni più produttivi perché bisogna ripagare un debito pubblico accumulato e speso abbastanza malamente in altre epoche.
 
L’Aire, l’anagrafe degli italiani all’estero, ha certificato che 35mila trentenni italiani nel 2012 si sono registrati come residenti altrove. Si tratta di emigrati 'stabili' e sono sempre più numerosi: nel 2011 i giovani italiani ad essere partiti erano stati 10mila in meno. Aspettiamo i dati del 2013, ma la sensazione è che qualche altra decina di migliaia di ragazzi e ragazze abbia deciso di trasferirsi in un altro Paese. Magari in uno di quelli dove per un trentenne sia normale guadagnare più di un pensionato medio.