Opinioni

Il calcio nostrano, i suoi nuovi riti sindacali, i veri nodi. L'impossibile sciopero dei campioni E quello che monta tra i tifosi

Massimiliano Castellani giovedì 9 dicembre 2010
Tanto tuonò che poi giocarono. Era matematicamente impossibile che la bella Repubblica fondata sul pallone rinunciasse al suo weekend calcistico. Anche perché, il weekend del calcio moderno non è mica legato agli umori e ai presunti diritti degli 11 mutandieri professionisti da campo. La revoca, anzi la farsa a “sorpresa”, conferma che gli unici diritti riconosciuti dal “sistema-calcio”, sono esclusivamente quelli televisivi. Nessuno lo dice, ma il messaggio assai poco criptato è quello che i colossi di Sky e Mediaset e forse anche della piccola Dahlia, lo sciopero, meglio la «sospensione o slittamento» dei lavoratori della Serie A, sapevano benissimo che non ci sarebbe mai stata. Telepatia? No, contratti tassativi e milionari controfirmati in estate, con sponsor che senza indagini di mercato comprendono al volo che un Genoa-Napoli di sabato o uno Juventus-Lazio di domenica sera, non ha lo stesso ritorno commerciale se proiettato in video in un grigio mercoledì di gennaio. Quindi, la prima ragione per cui è saltata la finta “occupazione” da stadio, da parte dei “calciatori-ribelli”, è come sempre economica. I padroni del giocattolo pallone, i finti rivali di Federcalcio, Lega di Serie A e Assocalciatori, alla fine hanno gridato in coro alla vittoria del «buon senso». Una vittoria facile allora, un gol a porta vuota.Il Massimo dei sindacalisti della classe top-player, il milanista Oddo, nell’ultimo tentativo di difesa dello sciopero per il nuovo contratto collettivo, aveva perfino rispolverato l’antico e goffo motto, «sono pienamente d’accordo a metà con il mister», annunciando alla Nazione: «Non sono per lo sciopero, ma aderirò». Una classe di scioperati che a un certo punto si è pure spaccata, con Gigi Buffon e una quarantina di “dissidenti” che hanno fondato un altro sindacato dalla sigla ambigua, quanto nobile, Anc – non è l’African national congress di Nelson Mandela –, Associazione nazionale calciatori. Stessa categoria divinamente privilegiata, con due corporazioni distinte, ma sempre unite da poche idee e confuse. Eppure i calciatori milionari, al volante di Porsche e Ferrari, erano pronti a sgommare in piazza per difendere, dicono, i colleghi più svantaggiati delle serie minori. Ma dopo una battaglia soda su i magnifici sette punti da fantacalcio si sono sentiti vincitori: ben sei ne ha spuntati per loro l’Aic. Dell’ultimo, quello più vicino al mondo reale del lavoro, il mobbing – dei fuori rosa –, se ne parlerà con calma, «anche tra 9 mesi». In fondo il calcio è pur sempre un gioco no? Intanto vogliamo discutere degli altri sei punti conquistati con il sudore dalla classe pedestre? Salari flessibili «sino a 400mila euro lordi». Impegni extracalcistici «45 giorni di tempo prima che il club conceda al calciatore l’ok per occuparsi di affari personali». Il terzo punto, quello sull’«etica» è una formula astratta, alla quale ogni società può decidere a discrezione, magari anche in maniera antitetica. Tanto è un «giuoco» no?Quarto: le cure mediche saranno assicurate, «al più alto livello», perché giustamente un calciatore di Serie A va curato nelle migliori cliniche e dai più grandi specialisti che i malati comuni (gente di Serie B?) non sanno neppure che esistono. Ma attenzione al punto “5”: d’ora in poi se il calciatore sgarra verrà «sanzionato» e se le ammende non eccedono il 5% dello stipendio, (Ibrahimovic prende intorno al milione di euro al mese, fate voi i conti) le società possono multarlo da sole. Infine l’articolo “6” ci dice che, mentre il Paese reale non sa ancora chi lo governerà il prossimo anno, nel 2011 invece conosceremo il nome del presidente del Collegio Arbitrale che verrà designato da un soggetto terzo, “extracalcio”. Non ci resta che piangere, oppure sperare in un altro sciopero: quello dei tifosi. Pardon, dei teletifosi.