Opinioni

Il killer 'pentito' Spatuzza e il beato Pino Puglisi. Don Puglisi, «col suo denaro giocammo al lotto»

Maurizio Patriciello mercoledì 7 ottobre 2015
Gaspare Spatuzza è stato un sanguinario mafioso siciliano. Da qualche anno sta collaborando con la giustizia. Sembra, però, che almeno nel suo caso, non si tratti di sola 'collaborazione', ma di vero pentimento. Pentimento che porta il peccatore a chiedere perdono a Dio e alla società per il male fatto. E a cercare, per quanto gli è possibile, di rimediare. Fu Spatuzza a premere il grilletto che uccise, ventidue anni fa, don Pino Puglisi. Pochi mesi dopo, nel marzo del 1994 a Casal di Principe venne assassinato dalla camorra, anche don Peppe Diana. Mafia e camorra sembrano andare di pari passo anche in questo. Mi chiedo spesso quale legame, in modo misterioso, si sia instaurato tra il sacerdote martire e il suo assassino. Chissà quanto avrà pregato padre Puglisi per Gaspare Spatuzza e i suoi complici. Chi è il mafioso? Un uomo soggiogato da un delirio di onnipotenza. Che, almeno in certi momenti, crede o ha creduto di poter tenere in pugno l’intera società. Un uomo che prova un piacere disumano nel vedere tremare altri uomini. «La mafia sarà sconfitta da un esercito di maestre elementari», scriveva Gesualdo Bufalino. Un esercito di donne e di uomini che insegnino ai bambini, fin dalla loro più tenera età, il rispetto per la vita altrui. Insegnino che c’è più gioia nel donare che nel possedere. Insegnino che una società civile per sopravvivere deve darsi delle regole che tutti dovranno poi rispettare. Non so per quale illogico motivo – la mente umana a volte è un labirinto – ma da sempre i camorristi e mafiosi (quasi tutti) ci tengono ad apparire religiosi. Non è stato facile in Calabria, in Campania, in Sicilia liberare i comitati delle feste patronali dalla presenza di costoro e dei loro adepti. I vescovi, i parroci, i fedeli laici hanno speso e continuano a spendere risorse, energie, tempo per depurare ed evangelizzare la pietà popolare. Come mai? Perché Bernardo Provenzano nascondeva i suoi famosi 'pizzini' tra le pagine sacre della Bibbia? Perché Francesco Schiavone, il sanguinario 'Sandokan' a capo del clan dei Casalesi, passava il suo tempo, a dipingere madonnine e volti di Gesù, nascosto nel suo covo? Non saprei dirlo. Per me rimane un mistero. So solo che Carmine Schiavone, l’ex cassiere del clan dei Casalesi, che con le sue dichiarazioni ha gettato tanta luce sul traffico dei rifiuti tossici interrati dell’Agro Aversano, dopo avere avuto la possibilità di incontrarmi, mi telefonò diverse volte. E ogni volta mi teneva impegnato per lunghissimo tempo. Parlava sempre lui. Io mi limitavo ad ascoltarlo, intervenendo di rado. Di che cosa sentiva il bisogno di parlare il camorrista a un prete? Di Dio e di papa Francesco. Ambedue gli avevano rapito il cuore. Letteralmente. Io rimanevo stupito. Ma sapevo che un uomo – qualsiasi uomo – è prezioso agli occhi dell’Altissimo. Sapevo che in quel vecchietto che aveva passato la vita a intimidire e uccidere forse si stava compiendo il miracolo immenso della conversione del cuore. Altro non saprei. Ma ho tanto pregato e fatto pregare per lui. E ritorniamo a Gaspare Spatuzza. A distanza di tanti anni – chissà perché – quest’uomo sente il bisogno di rendere noto che il denaro rapinato a padre Puglisi fu impiegato per puntare al lotto. Si rimane sconcertati. Come è possibile? Giocare d’azzardo dopo avere assassinato un uomo buono e santo? Incredibile, ma purtroppo, vero. Più sconcertante ancora è – ironia della sorte – sapere che si trattò di una puntata vincente. Spartita tra gli scommettitori-assassini della mafia, come le vesti di Cristo crocifisso sul Calvario. Per chi conosce, anche da lontano, l’universo psicologico dei mafiosi questa vittoria, almeno in quel momento, dovette significare molto. Ma sarebbe interessante chiedere a Spatuzza che significato diede a quella vincita. Per quanto mi è dato sapere, quasi certamente, allora la prese come il segno che stava operando bene. Che era nel giusto. «Il mio popolo perisce per mancanza di conoscenza», dice la scrittura. È vero. Per tutti, non solo per i mafiosi. Senza la luce della Parola di Dio anche la superstizione può apparire una forma di religione. Il diavolo – cui papa Francesco ha dedicato diverse omelie e catechesi – ama trasformarsi, infatti, in angelo di luce.