Opinioni

LA PAROLA AL CUORE. Un popolo di credenti liberi e senza calcoli

Davide Rondoni martedì 24 agosto 2010
La seconda parola del cuore dopo Ossessione (domenica scorsa, 22 agosto) è Agio. L’altro giorno un autorevole quotidiano metteva su un editoriale in prima pagina con scritto che i cattolici – tra cui quelli che dan vita al Meeting di Rimini – sono a disagio nei confronti della politica. Ma dipende cosa si intende per disagio. Nei confronti della politica si può essere indecisi su cosa votare, su di chi fidarsi di più. Ma disagio no. Qui al Meeting mi pare che rispetto alla politica (come alla cultura) ci sia piuttosto un agio. Ovvero un cuore che sa che non dipende dalla politica la salvezza della vita (e nemmeno dalla cultura) si muove più agevolmente in questi campi. Con meno ansia della prestazione, per così dire. E con una domanda seria, vasta, libera che la politica faccia il proprio mestiere (che è servire con passione e serietà personale il bene comune, come testimoniato dalla presidente d’Irlanda, Mc Aleese). Insomma, il disagio non so dove l’abbia visto l’arguto commentatore. O meglio forse chiama disagio quel che invece è ingenua baldanza. Cioè una capacità di impegnarsi non in nome di astuti calcoli (come quelli di chi secondo quel ragionare sta a proprio agio nel politichese) ma di una generosa offerta di sé per il bene di tutti. Il contrario del disagio, insomma. Un agio con tutti, tranne coloro che ti trattano a priori come nemico. Poi magari a disagio sono i commentatori politici che non sanno mai come schierare il popolo del Meeting. O a disagio sono quelli che guardano di questo fenomeno la buccia e non la sostanza. Ci sono motivi di agio soprattutto nel vedere come una rete di amici cristiani sa dialogare e costruire opportunità per il bene di tutti. Ben oltre e al di là delle anguste querelle italiani. E, rispetto a queste ultime, con la libertà di schierarsi liberamente, senza appartenere come una proprietà a uno o all’altro schieramento. Un uomo libero mette sempre a disagio chi lo osserva, e magari l’osservatore finisce per proiettare il proprio disagio per provare a definire quella sconosciuta libertà.