Opinioni

Il senso di una proposta . La «prossimità» della Chiesa all'uomo reale

Davide Rondoni mercoledì 27 maggio 2009
Accade con Gesù. Con i Santi. E con la Chiesa. Accade che gli uomini li sentano vicini. Li sentano prossimi. Come nei racconti dei Vangeli si vede che le persone consideravano Gesù uno che era vicino, uno che non stava solo ritirato in preghiera o chissà dove, rapito nei suoi colloqui misteriosi con il Padre. Accadeva con Gesù. Sapevano dove trovarlo. Era prossimo a gente di ogni tipo. Ai poveri, ai bambini, a chi era ricco ma senza gusto per la vita, a chi non sapeva farsi amare, a chi avrebbe voluto tirare la prima pietra, a chi non si alzava più dal letto. A chi aveva la peste. A chi non ci vedeva più. Era prossimo a chi voleva discutere su Dio. A chi aveva fame. Faceva diventar matti gli intellettuali del suo tempo, gli scribi, e gli ipocriti, i farisei. Che lo volevano "bloccare", mettere in una casella, assegnargli un campo d’azione consono al loro pensiero su Dio e sugli uomini. Diventavano matti, dicevano che sì, lo stimavano, ma presero a odiarlo perché Lui era sentito vicino dagli uomini. Perché si faceva prossimo a tutti. E dopo di Lui, anche i santi sono stati e saranno prossimi alla gente. Tanti tipi di santi, per ogni tipo di situazione. Molto spesso pagando con il sangue il fatto d’esser prossimi all’uomo contro i progetti di chi ha il potere. Leggendo le parole del cardinale Bagnasco all’assemblea dell’episcopato, viene davanti agli occhi la grande prossimità della Chiesa agli uomini di sempre, e in ogni condizione. Accadeva a Gesù, accade ai Santi, e alla Chiesa. Ma la Chiesa, dicono da un lato strani intellettuali, dovrebbe occuparsi di questa cosa e non di un’altra. No, rispondono altri intellettuali da un’altra parte, dovrebbe occuparsi dell’altra e non di questa. Ma la Chiesa non fa distinzioni. Si occupa dell’uomo come è. Perché si occupa, per così dire, della risposta al desiderio di felicità, cioè di bene e di autentico, che c’è nella vita di tutti, fortunata o sfortunata che sia. Perciò si fa prossima alla famiglia in difficoltà per la crisi come al grande imprenditore. Perciò continua, lungo duemila anni, la grande prossimità che Gesù ebbe con gente di ogni tipo e in ogni situazione. Lo fa in Italia nelle condizioni in cui vivono gli italiani. Nel dramma della crisi e della disoccupazione, nelle domande circa le evoluzioni della ricerca scientifica e nello smarrimento di fronte a una grande questione educativa che mangia in petto il Paese. Gli intellettuali - gli scribi di oggi - vorrebbero che la Chiesa stesse entro certi confini. Si scandalizzano se trovano la Chiesa prossima all’esperienza di uomini diversi in campi diversi della vita. Accadeva con Gesù, e accade anche oggi. Così quando la vita di moltissimi nel nostro Paese è segnata da fatti duri o da gioie, costoro sanno che la Chiesa c’è, è vicina. Con i volti familiari di gente di fede. Di gente che è lì, sta vicina, dà una mano a capire, a guardare la verità e a far qualcosa di buono, sia che si tratti di una casa terremotata o di un terremoto esistenziale per decidere se il bambino va fatto nascere o no. E’ una prossimità all’uomo che non significa assistenza sociale (anche se innumerevoli sono le opere); che non significa nemmeno ricerca del consenso (non è il mestiere della Chiesa). Significa che la Chiesa ha da offrire una cosa all’uomo di sempre. L’incontro con Gesù. A quanti è capitato di riaprire una domanda sulla propria fede per essersi accorti - per esperienza personale - che, alla fin fine, la Chiesa, cioè la gente cristiana, è prossima alle persone come nessuno in Italia. La via della Chiesa italiana non è una via che passa o a destra o a sinistra, a est o a ovest dei problemi o sulla testa delle persone: è la via che porta in prossimità dell’uomo reale, alle sue croci e alle sue feste. Accadeva a Gesù, è scritto chiaro nei Vangeli. E da allora accade al proseguimento misterioso del Suo corpo, a quel che noi chiamiamo Chiesa.