Opinioni

Il direttore risponde. «Roberto è morto, io per miracolo no: dateci un giusto "omicidio stradale"»

Marco Tarquinio venerdì 5 giugno 2015
Caro direttore,ho vissuto una storia terribile, ma la fede e la voglia di dare un senso a tutto quello che è successo mi aiutano a non mollare. Ho letto la risposta che lei ha dato mercoledì scorso, 3 giugno, alla lettera del signor Salvi e ho visto con piacere che ha messo in rilievo i nodi dell’omicidio stradale e delle colpevoli distrazioni al volante. Proprio per questo le chiedo a mia volta di aiutarci a fare in modo che ci sia finalmente attenzione vera al tema del sangue versato ogni giorno sulle nostre strade. Ho scritto a tanti e, più volte, pure al presidente del Consiglio Matteo Renzi. L’ho fatto da vittima della strada miracolosamente viva, moglie di Roberto Cona, vittima della strada ucciso da quello che io già chiamo da tempo «omicidio stradale», dodici ore dopo che un Tir con targa turca e senza carta verde, che non ha rispettato le principali regole di buon senso e di attenzione alla guida, ci ha massacrato schiantandosi sulla nostra auto la notte tra il 26 e 27 luglio 2013, in autostrada A1 direzione sud all’altezza di Barberino, mentre eravamo fermi per una coda di macchine segnalata. Lo scorso 27 maggio 2015, è stata la ricorrenza del ventiduesimo mese dalla morte di mio marito; una morte che con un gesto d’amore abbiamo trasformato in vita per altre persone con la donazione dei suoi organi. Sento il bisogno di scrivere nuovamente di tutto questo perché la Commissione Giustizia del Senato ha approvato il ddl 859, concernente le “norme penali sull’omicidio stradale” e il testo unificato dovrebbe essere presentato in aula nei prossimi giorni. Mi preme innanzitutto esprimere apprezzamento per il lavoro svolto dai parlamentari membri della Commissione, perché rappresenta un serio passo in avanti sulla strada per giungere a una buona legge. Ma mi preme ancora di più sottolineare la mancanza nel testo della fattispecie sulla “distrazione consapevole” dovuta all’uso non consentito di apparati cellulari e apparecchi elettronici. Una grave lacuna, che nel corso dell’iter parlamentare dovrà essere colmata se vogliamo che l’Italia abbia una legge completa e veramente giusta. Il buon senso ci suggerisce che chi uccide perché mentre sta guidando si distrae per inviare o leggere un sms, un messaggio di posta elettronica, di whatsapp, o per guardare un film sul tablet, o per farsi un selfie, oppure per parlare al telefonino senza vivavoce e senza auricolare è consapevole e colpevole almeno quanto chi uccide mettendosi alla guida sotto l’effetto di alcol e droga o viaggiando a una velocità di molto superiore ai limiti consentiti. Se le cose restassero così, qualcuno potrebbe ancora sostenere con successo che chi ha ucciso una persona investendola sulle strisce, o schiantandosi sulla sua macchina, perché guidando stava anche leggendo un sms o chattando, che “non è omicidio stradale, ma solo omicidio colposo”. Non si può accettare una logica che porta, in pratica, a una parziale “legittimazione” come “attenuanti” di comportamenti che sono la causa più frequente e principale di incidenti mortali. Mi chiedo perché siano stati messi da parte gli emendamenti ad hoc che pure erano stati presentati. E spero ancora che si inseriscano nel testo poche e buone righe: «La stessa pena di cui agli articoli 589-bis e di cui all’articolo 590-bis si applica anche nell’ipotesi in cui il reato è commesso dall’agente che durante la guida utilizzi apparecchi di telefonia mobile o elettronici senza attivare i congegni idonei a prevenire cali di attenzione durante la guida». Spero anche che lo stesso premier Renzi voglia spendersi per questo. Io e tanti altri non vogliamo essere giustizialisti, non siamo emotivi, abbiamo risposto con amore e dignità a un dolore terribile, che ci costringe a un “ergastolo del dolore”. Vogliamo solo buoni strumenti di giustizia. Vogliamo solo evitare che si creino zone di impunità per comportamenti consapevoli che provocano morte e sofferenza. Ci aiuti anche lei. Marina Fontana Cona Palermo Torno in modo consapevole e convinto, per la seconda volta nel giro di pochi giorni, sul tema doloroso e rovente delle “stragi sulle strade” e della troppo vasta accondiscendenza (o, se si vuole, della sostanziale impunità o semi-impunità) verso chi guida spericolatamente oppure in maniera deliberatamente soggetta a distrazione. Lei già sa, gentile e cara signora Fontana, che condivido senso e urgenza del suo appello a Parlamento e Governo, e in particolare al presidente del Consiglio Matteo Renzi. Serve un salto di qualità delle norme italiane in materia. Certo, continuo a pensare che sia utile valutare bene l’impatto di un nuova fattispecie di reato e che perciò vada cesellata a dovere il testo normativo che la introduce, ma non ho alcun dubbio sull’opportunità di definire e sanzionare in modo chiaro ed efficace l’«omicidio stradale», così come non ne ho sulla necessità di disincentivare duramente chi guida impegnando testa, occhi e mani non per affrontare la strada, ma per maneggiare in modo scriteriato apparati elettronici (telefoni, smartphone, tablet, etc), persino rifiutandosi – in modo ostentato e incomprensibile – di far ricorso ad accessori e supporti che consentono di telefonare senza trascurare pericolosamente il volante. E non smetto di pensare che sarebbe già saggio se in Italia si cominciasse ad applicare le norme che già ci sono e a irrogare senza esitazioni le sanzioni previste per disincentivare i comportamenti sbagliati. Detto questo, cara signora, mi colpisce molto la sua testimonianza umana e civile, e spero fortemente con lei e per lei. Spero che i nostri legislatori ascoltino la voce che lei sa alzare con coraggio e straordinaria pacatezza dall’«ergastolo del dolore». E spero che questa sua ingiusta pena abbia fine, per le vie di bene che «la fede e la voglia di dare un senso a tutto quello che è successo» aiutano a trovare.