Opinioni

Dal Vaticano le prime indicazioni pastorali sull'Anno della fede. Abbiamo Cristo. Ora riscopriamolo

Antonello Mura venerdì 6 gennaio 2012
La fede al primo posto. Era stato questo il primo, spontaneo pensiero suscitato in molti dall’indizione dell’«Anno della Fede» da parte di Benedetto XVI l’11 ottobre 2011, dodici mesi esatti prima del suo previsto avvio. Nella lettera apostolica Porta fidei appariva infatti chiaro che l’occasione del 50° anniversario dell’apertura del Concilio Vaticano II e il 20° della promulgazione del Catechismo della Chiesa cattolica sarebbero diventati un’occasione nella Chiesa per dare alla fede il posto privilegiato che deve avere.L’arrivo ora della Nota della Congregazione per la Dottrina delle Fede – preannunciata ieri dalla Sala stampa vaticana e nata dalla collaborazione dell’apposito Comitato di preparazione con alcuni dicasteri della Santa Sede – con le indicazioni pastorali per l’Anno confermano quella iniziale constatazione, in linea con la recente affermazione del Papa quando, rivolgendo gli auguri natalizi alla Curia romana il 22 dicembre, ha detto che «se la fede non riprende vitalità, diventando una profonda convinzione e una forza reale grazie all’incontro con Gesù Cristo, tutte le altre riforme rimarranno inefficaci». Certo – direbbe qualcuno – cosa più della fede merita il primo posto nella Chiesa? Cosa può considerarsi più importante e decisiva? La risposta merita però qualche approfondimento, e la scelta di Benedetto XVI va in questa direzione. È vero, attraverso la fede nasce e cresce ogni credente, ogni comunità, ogni progetto. La fede come dono – meritato dall’amore di Dio – e la fede come compito e come conquista camminano insieme per edificare la Chiesa in ogni tempo. Grazie alla fede ogni battezzato si sente nella Chiesa a casa propria, con i suoi doni e le sue responsabilità, chiamato a collaborare nella Chiesa locale alla missione di annuncio del Vangelo. Ma questa stessa fede, così determinante, ha bisogno oggi di nuovi testimoni, di «nuovi interpreti» che, se da una parte non dubitano della grazia che viene dall’alto, d’altro canto sentono di dover diventare in questa missione più credibili ed entusiasti, più convinti e convincenti. Una "nuova" evangelizzazione per rispondere alle "nuove" esigenze del nostro tempo. Il Papa sembra dire a se stesso e a tutti noi: ripartiamo dalla fede. Abbiamo questo tesoro, investiamolo; abbiamo Gesù Cristo, riscopriamolo e doniamolo. Annuncio e missione, ragione e fede, preghiera e azione si richiamano non come un’opposizione ma come una grande alleanza per conoscere Dio e servire l’uomo. È significativo che dalla «porta della fede» tutti siamo chiamati a passare: dal Papa stesso – colui che ci prende per mano –, fino all’ultimo dei battezzati. Se non lo facessimo, quella porta, paradossalmente, rimarrebbe chiusa per i tanti che ci osservano e che aspettano da noi testimonianze autentiche. Se è vero infatti che Dio raggiunge l’uomo, ogni uomo, per vie imperscrutabili, è altrettanto vero che la nostra fede vissuta coerentemente può diventare un "passaggio" per chi rivolge alla vita le domande più profonde. Nelle indicazioni provenienti dalla Nota attesa per domani potremo individuare utili suggerimenti per animare la fede di quei quattro livelli della nostra vita ecclesiale identificati dal testo pubblicato ieri: Chiesa universale; Conferenze episcopali; diocesi; parrocchie, comunità, associazioni e movimenti. Non mancheranno di certo programmi e iniziative, alcune già in agenda. Ma quello che è più che mai auspicabile, oltre che necessario, sarà la riscoperta della nostra unità di fede – anche a livello ecumenico – unità che si basa, come Benedetto XVI non cessa di indicarci, sull’incontro con Gesù Cristo e sulla bellezza della fede in Lui.