Opinioni

L'analisi. A chi giova l’antisemitismo oggi? Serve a nazionalisti e a populisti

Milena Santerini sabato 9 dicembre 2023

Una bandiera israeliana bruciata in piazza

Ogni tempo ha il suo antisemitismo. Segnato dall’antigiudaismo cristiano in passato, cospiratorio nei momenti di crisi, efferato nella sua forma pseudo-scientifica nel periodo del nazionalsocialismo e del fascismo. Oggi, un antisemitismo mimetico, nascosto nelle pieghe della società (come ha detto Papa Francesco) riemerge in modo particolare con il 7 ottobre, giorno della strage di Hamas in cui persone innocenti- bambini, anziani, donne –sono stati uccise in modo crudele. Molte delle vittime e degli ostaggi erano -e sono- attivisti per la pace, gente che sceglieva di vivere ai confini, dialogava e cercava di capire le ragioni del popolo palestinese.

Dopo la Shoah, dopo il “mai più” che l’Europa e il mondo hanno saputo dichiarare erigendo l’edificio dell’uguaglianza e della non discriminazione a difesa dei diritti umani, ci troviamo a fare i conti con un’avversione antica che però assume le forme del tempo in cui viviamo. Negli anni ’20 del XXI secolo l’antisemitismo è ancora tra noi, annidato negli antichi pregiudizi ma non del tutto visibile a causa delle norme anti-discriminazioni di cui l’Italia si è dotata sulla base della Costituzione, dalle leggi Scelba e Mancino in poi. Dopo il 7 ottobre, è più manifesto, riconoscibile nelle scritte sui muri, negli insulti e nella vandalizzazione dei simboli della deportazione. Divenuto “culturale” più che biologico, raramente è argomentato in modo aperto, eppure è presente e – in alcuni periodi – in crescita. Lo mostrano i picchi in occasione delle guerre, delle intifade, del Covid-19 e della Giornata della Memoria del 27 gennaio. Nulla mostra meglio l’irrazionalità di questo risentimento rabbioso degli attacchi via social a Liliana Segre, nel momento in cui ha presentato al Senato la proposta di una Commissione contro l’odio e l’intolleranza.

Tuttavia, la contraddittorietà e l’irrazionalità emotiva per cui si attribuisce agli ebrei “tutto e il contrario di tutto” non devono far dimenticare un aspetto importante, e cioè che l’antisemitismo è utile. Anche se l’ossessione contro un gruppo considerato nemico in quanto tale non ha alcun senso, il sistema di odio che lo produce serve a far percepire sicurezza, identità, unità di un simbolico noi contro il nemico esterno. Per questo lo hanno prodotto il regime nazionalsocialista e il fascismo tra il 1933 e il 1945. Per i nazisti aveva senso un “mondo senza ebrei”, era utile un progetto politico basato sul dominio, la violenza e l’esclusione. Oggi, per chi ha senso un antisemitismo “insensato”?

Anzi tutto per i sistemi nazionalisti e populisti, che da un lato appoggiano Israele ma dall’altro alimentano la polarizzazione sociale, il razzismo e la divisione tra “noi e loro”. L’idea dell’altro come invasore, il mito della sostituzione etnica per cui il pericolo per le nostre società europee arriva da fuori, sono elementi che creano discriminazione e minano l’edificio dell’uguaglianza. Anche se apparentemente oggi questa mentalità di esclusione non tocca gli ebrei, in realtà produce quelle radici di divisione che sono un pericolo per tutte le minoranze. Quando alcuni gruppi hanno appoggiato il movimento no-vax hanno, allo stesso tempo, contribuito alla distorsione della Shoah (la stella gialla o i cancelli di Auschwitz come simbolo di oppressione sanitaria) e hanno alimentato la mentalità cospiratoria che vedeva negli ebrei gli untori del virus.

L’antisemitismo serve poi al mondo islamico, come collante che tiene uniti stati arabi divisi e in conflitto sul piano politico. L’ebreo diventa il nemico storico e religioso numero uno, e l’ostilità antiebraica infiamma le masse di cultura musulmana in molte parti del mondo. Il tema dell’immigrazione islamica in Europa diventa così centrale, da un lato per il terrorismo che colpisce proprio i luoghi ebraici, oltre a quelli della “cultura occidentale”, dall’altro per il risentimento che le nuove generazioni coltivano, specie quando manca una reale integrazione sociale, economica e lavorativa. Se non interverremo presto su questo risentimento sotterraneo emergerà ben presto anche in Italia, come in Francia ed altri paesi; lo provano le manifestazioni pro-Palestina delle piazze, dove non mancavano riferimenti all’annullamento dello Stato di Israele (lo slogan “dal fiume al mare”). Anche il mondo terzomondista di sinistra ha bisogno di indicare un nemico, individuato nell’ebreo capitalista, ricco e occidentale. Accanto alla simpatia per i palestinesi come principale popolo oppresso, nelle università studenti e professori chiedono il boicottaggio delle Università israeliane. Quasi la metà degli studenti italiani crede che oggi Israele si comporti come i nazisti, dimenticando che la Shoah aveva come obiettivo lo sterminio totale degli ebrei “per la colpa di essere nati” mentre oggi assistiamo a una guerra territoriale.

Non si parla quindi, come la definizione di antisemitismo dell’IHRA (International Holocaust Remembrance Alliance) chiarisce bene, delle legittime critiche ai governi israeliani (le cui politiche hanno provocato in questi anni danni evidenti) ma del riaffiorare di un antisemitismo legato all’antisionismo, a volte inconsapevole, che diventa avversione. In questo modo, l’empatia verso le migliaia di vittime di Gaza sottrae simpatia a quelle dei ragazzi uccisi nel rave del deserto. Come non vedere in quell’attentato la stessa matrice della logica jihadista, disprezzo per la vita propria e altrui, accanimento contro le donne, crudeltà verso i civili?

Infine, l’odio di tutti i tipi serve al business dei social media. Il sistema stesso dei social network, per riprodursi, deve aumentare l’intensità delle emozioni, soprattutto rabbia, indignazione, disprezzo per incrementare la frequenza della condivisione. Solo il 15% in media delle segnalazioni di grave antisemitismo viene rimosso dalle piattaforme. E ora l’Anti Defamation League denuncia giornalmente l’ondata di odio antisemita che X di Elon Musk sta tollerando se non incoraggiando.

Non possiamo rinunciare all’idea di un mondo senza antisemitismo. La repressione caso per caso non basta, ci vuole un investimento di visione. Abbiamo vari strumenti da utilizzare per richiamare le istituzioni ad azioni incisive, a cominciare dalla Strategia nazionale per la lotta contro l’antisemitismo del Governo Draghi e le Linee guida per contrastare l’antisemitismo nella scuola pubblicate dal Ministero dell’istruzione nel 2021. Dobbiamo proseguire nella formazione degli insegnanti, delle forze dell’ordine, della magistratura, degli operatori dei media, applicare le norme anti-discriminazione, agire concretamente contro l’antisemitismo negli stadi, dialogare con il mondo studentesco. La forza debole del dialogo che le Chiese possiedono è una ricchezza da spendere in questo mondo diviso.

Milena Santerini è vice presidente del Memoriale della Shoah di Milano