Opinioni

L'analisi. Qui c'è un popolo che non si piega. E sta con Antonio

Maurizio Patriciello sabato 25 luglio 2015
Ci sono giorni in cui la stanchezza sembra prendere il sopravvento. Accade. Accade che la lotta estenuante per riportare la propria terra a una parvenza di normalità sembra essere vana. Accade quando chi ha deciso di rovinare la tua terra e il tuo popolo sembra più forte. Accade quando l’impegno di ogni giorno per costruire qualcosa di nuovo, di bello, di legale sembra andare in fumo. È accaduto, ancora una volta: a Sessa Aurunca con l’incendio della Cleprin, azienda di detersivi ecologici, un’attività all’avanguardia per la 'Terra dei fuochi'. Antonio Picascia, il proprietario, da tempo aveva denunciato il racket locale e avviato percorsi di inserimento lavorativo per persone svantaggiate. Di certo l’incendio è doloso, l’azienda è accanto alla tenuta confiscata alla camorra e data in gestione alla cooperativa «Al di là dei sogni» con la quale Antonio collabora. Diciassette ettari di deserto diventati un giardino tra le mani di chi la terra la ama e la coltiva. Una cooperativa che richiama ogni anno centinaia di giovani da ogni parte d’Italia per i campi di lavoro. I ragazzi lavorano e si divertono. Dalla terra alcuni prodotti passano direttamente alla fabbrica, a chilometri zero. Il nuovo che avanza. La speranza che non muore. Il bene che vince.  Certo, il timore che qualcosa di brutto possa accadere c’è sempre. Ma non si può vivere in preda alla paura. In fondo la forza della camorra è sempre stata quella di intimidire, impaurire, terrorizzare. È così che sono state sventrate le terre, ridotti a un letamaio laghi, fiumi, corsi d’acqua. È così che l’economia si è trasformata in smoderata ricchezza per pochi e miseria per tanti. È così che tante attività vengono soffocate sul nascere.  È terribile, la camorra. A volte dà l’impressione di essere stata sconfitta, altre di essersi arresa. Poi, come un fiume carsico, ritorna in superficie. Alza la voce. Come a dire: ci siamo. E vi guardiamo. Non vi illudete troppo. Non cantate vittoria. Ed ecco che una notte ritornano come solo loro sanno fare. Arrivano e distruggono. Bruciano il commercio, l’economia, il lavoro. Bruciano la speranza nel cuore dei giovani. L’altra notte è andata a fuoco la ditta di Antonio. La notizia ha fatto il giro degli amici in un baleno. Siamo rimasti addolorati, ma non increduli. Ce lo aspettavamo? Non saprei dire. Sappiamo che un mondo nuovo sta nascendo e che il nuovo da certe parti non è visto di buon occhio. Sappiamo come agiscono i vigliacchi, sempre ci aspettiamo qualcosa di brutto, ma sempre speriamo che non accada più. Ieri sera ci siamo ritrovati davanti a quello scempio. Ne avevamo bisogno. Dovevamo stare insieme. Dovevamo stare accanto ad Antonio. Dovevamo dare fiato alla speranza. Ma siamo sempre troppo pochi. Anche quando a scendere in piazza siamo in centomila, siamo sempre in pochi. Perché non un gruppo o mille associazioni debbono alzare la voce, ma un popolo intero. Un popolo stanco di subire soprusi e sopraffazioni. Di sottostare a regole antidemocratiche e incivili imposte con la forza e la paura. Tutti dobbiamo essere con Antonio: intellettuali e analfabeti. Industriali e operai. Bambini e casalinghe. Tutti dalla parte dello Stato e della legalità. Per gridare al mondo che questo popolo subisce la camorra ma non è il popolo della camorra. Antonio non deve essere lasciato solo. Un uomo solo è debole e sarà facilmente sconfitto. Ma se tutti porteremo il suo nome, abbracceremo la sua causa, allora saremo una forza. Che sia questo il canto del cigno di una camorra prossima alla fine.