Opinioni

Il collante invisibile che tiene in piedi l'economia. Questione di fiducia

Leonardo Becchetti mercoledì 31 luglio 2013
Il dato sulla variazione degli indicatori congiunturali di fiducia di consumatori e imprese (misurato ieri dall’indice Esi, l’European Sentiment Indicator) che vede l’Italia alla testa dell’Unione europea, largamente davanti a Francia e a Spagna, è un debole ma promettente auspicio, una rondine che speriamo faccia primavera.La fiducia infatti è come l’aria. Ci accorgiamo della sua importanza solo quando viene a mancare. Ed è il vero collante invisibile che tiene in piedi l’economia. Tutti i nostri rapporti sociali avvengono in un contesto che potremmo chiamare di «asimmetria informativa», dove senza fiducia si rischia la paralisi. Pensate a cosa succede quando si firma un contratto: non sappiamo se possiamo fidarci sino in fondo di chi abbiamo di fronte e (soprattutto nei rapporti commerciali) non bastano neppure migliaia di pagine di articoli e codicilli, per proteggerci legalmente dall’abuso possibile della controparte. Non solo: quand’anche ci trovassimo in una di quelle situazioni nelle quali la protezione contrattuale esiste ed è garantita, dovremmo confidare nella celerità della nostra giustizia civile per poter dirimere le potenziali controversie, cosa particolarmente difficile in Italia, Paese che vanta una delle durate medie dei processi civili più alta tra gli Stati europei.Se la variabile fiducia è dunque decisiva nelle intese tra privati, ancora di più lo è nel dibattito pubblico. La fiducia non è soltanto quello che gli studiosi chiamano «capitale sociale», fenomeno sempre più studiato al fine di coglierne le leggi di moto. È qualcosa di più profondo, che ha radici spirituali. Non a caso, oggi si parla di «capitale spirituale». Con esso si intende la dotazione individuale e collettiva di alcune virtù fondamentali quali l’ispirazione profonda e la capacità di trovare e dare un senso a ciò che si fa. Queste virtù sono alla radice della nostra creatività sociale ed imprenditoriale e della nostra capacità di raggiungere quella forma superiore di razionalità che è la cooperazione. La fiducia ha pertanto radici profonde in questa risorsa invisibile che ci aiuta a trovare significati alla nostra esistenza e genera nuova fiducia nel futuro, la molla fondamentale per intraprendere progetti duraturi come sono quelli di far nascere una famiglia o di avviare un’impresa.Senza queste radici profonde non resta che la dissipazione dei pochi denari che ci sono rimasti nei beni di comfort e nel gioco d’azzardo, sia esso quello delle slot machine o piuttosto quello più sofisticato del carry trade, il commercio di valute degli speculatori sui mercatiAncor più in tempi di crisi come questi, la fiducia per poter spiccare il volo ha bisogno di avere alle spalle anche un sistema Paese funzionante. Non ci stanchiamo di ripetere, da queste colonne, che moltissimo si può fare lavorando sugli spread di economia reale che ci distanziano dalla qualità dei nostri partner tedeschi in settori come quello dell’efficienza della giustizia, della burocrazia, della banda larga, della lotta all’evasione fiscale, dell’istruzione e della qualità tecnologica. Va riconosciuto, da questo punto di vista, che il governo Letta ha inquadrato con lucidità il problema e sta lavorando al meglio su questi punti, dati i limiti di risorse disponibili in bilancio. Senza fiducia, infatti, non c’è ripresa.Se colmiamo questi gap possiamo veramente spiccare il volo. Contando su qualcosa che nemmeno i nostri amici del Nord Europa hanno. L’Italia è un Paese che, oltre a vantare una leadership tecnologica e commerciale in molti importanti segmenti di prodotto (si pensi al settore delle macchine utensili), ha anche ricevuto il dono della massima biodiversità naturale in Europa e della leadership mondiale nei giacimenti artistico-culturali. Si tratta di fattori competitivi non delocalizzabili che sono preziosissimi in tempo di globalizzazione perché a prova di concorrenza di costo del lavoro. Puntare di più su di essi è strategico per costruire l’economia del futuro, necessariamente chiamata a creare valore economico in modo socialmente ed ambientalmente sostenibile.<+copyright>