Opinioni

Le criticità della riforma del Mibact. Questi beni (culturali) meritano di più

Paolo Liverani* sabato 5 marzo 2016
Caro direttore,  la seconda riforma del Ministero dei Beni Culturali ha sollevato numerose polemiche: le Soprintendenze archeologiche verranno accorpate a quelle storicoartistiche e architettoniche e suddivise in una quarantina circoscrizioni di dimensioni limitate. Tutto il mondo archeologico italiano ha avanzato critiche più o meno severe: le associazioni dei funzionari del Ministero, le consulte (associazioni degli universitari) degli archeologi e degli storici dell’arte, gli archeologi dell’Accademia dei Lincei. Il Ministero non intende però modificare la sua posizione. Nella foga della discussione sfugge talvolta il nocciolo della questione e bisogna tradurre nella lingua di tutti i giorni gli effetti di norme tecniche. La nuova riforma nasce dalla legge Madia, che riorganizza le amministrazioni pubbliche e tocca le capacità di intervento delle Soprintendenze in tre punti vitali. Innanzitutto prevede il silenzio-assenso (art. 3): se un’amministrazione pubblica chiede alla Soprintendenza un’autorizzazione per trasformazioni edilizie, urbanistiche o territoriali, in mancanza di una risposta entro 90 giorni il parere è considerato positivo. Era una norma più volte presentata sotto il governo Berlusconi a cui fino a ieri il centrosinistra si era opposto. Se si tiene conto che le due successive riforme hanno paralizzato gli uffici, è facile prevedere che un elevato numero di pratiche andrà inevaso con danni gravi al patrimonio culturale e al paesaggio.  Le Soprintendenze vengono inoltre sottoposte al prefetto (art. 8). Molti paventano che questi – in quanto rappresentante del Governo – possa introdurre valutazioni politiche nell’apposizione di un vincolo, invece che affidarsi al parere tecnico dei soprintendenti. Il ministro Franceschini si è affrettato a rassicurare del contrario, ma in mancanza di ulteriori regolamenti tali rassicurazioni sono prive di efficacia per due semplici motivi. Innanzitutto il prefetto dipende dal ministro degli Interni e non da quello dei Beni Culturali, in secondo luogo la legge attribuisce al prefetto «la responsabilità dell’erogazione dei servizi ai cittadini, nonché (le) funzioni di direzione e coordinamento dei dirigenti degli uffici facenti parte dell’Ufficio territoriale dello Stato». Ciò significa che è lui che firma un provvedimento e valuta se accettare un parere tecnico o se invece considerare prevalenti considerazioni di altro ordine, anche a scapito del patrimonio culturale e del paesaggio.  L’ultima mossa riguarda le conferenze dei servizi (art. 2) che valutano i progetti che ricadono sotto più competenze, snellendo la procedura. Ad esse partecipano tutte le amministrazioni interessate, che possono così concordare un parere o un’autorizzazione. La novità è che ora la decisione viene presa a maggioranza. Il parere della Soprintendenza, quindi, può essere superato dalle voci di altri organismi presenti nella stessa conferenza. Ma è possibile che la voce della Soprintendenza non arrivi nemmeno alla conferenza: il prefetto, infatti, designa «un unico rappresentante delle amministrazioni statali», dunque un funzionario che può anche essere incompetente in materia di tutela, ma che dovrà difendere le ragioni di archeologi e storici dell’arte. C’è da chiedersi, per fare un paragone, se in un processo sia efficace la difesa affidata a un dentista invece che a un avvocato. Si può infine evidenziare un problema di architettura istituzionale: la modifica del titolo V della Costituzione attribuisce la tutela dei beni culturali allo Stato e la valorizzazione agli enti locali. Sarebbe logico identificare due partner di pari peso in questi ruoli: la Regione per gli enti locali e Soprintendenze regionali per lo Stato. Invece, dopo aver abolito le province, le Soprintendenze vengono provincializzate: un caso di schizofrenia istituzionale. Se dunque non si porrà mano a correttivi importanti, c’è da concludere che le possibilità di una tutela incisiva saranno drasticamente limitate. *Archeologo e docente di Topografia Antica, Università di Firenze