Opinioni

Paolo Branca. La guerra comincia negli scontri dentro l'islam

Paolo Branca martedì 17 novembre 2015
Una carissima amica marocchina, quasi una nipote acquisita, mi telefona per confessarmi il suo disorientamento, aggravato dalla ridda interminabile di commenti, prese di posizione, distinguo che inondano da qualche giorno il web. Le consiglio di fare ciò che a me è purtroppo impossibile per doveri e responsabilità professionali: prender tempo, distaccarsi dall’emotività dilagante, rifletterci e pregarci su. Non sto molto meglio di lei, tuttavia, e lo devo ammettere. Dopo oltre trent’anni dedicati alla cultura araba e alla religione islamica, pensavo di aver già visto il peggio, ma pare proprio che al peggio non ci sia fine.Insisto tuttavia nel ribellarmi all’idea semplificatoria e disperante che si tratti di uno scontro di civiltà: non ho mai visto genitori musulmani insegnare ai propri figli a mentire, disobbedire, rubare o dire parolacce. L’islam è stato per 14 secoli ed è tuttora per un miliardo e mezzo di credenti 'normali' una fonte di spiritualità e di etica che non teme di confrontarsi con altre grandi tradizioni religiose sorte nella storia dell’umanità. È comunque un fatto che, almeno da un paio di secoli in qua, gli anticorpi interni ch’esso ha avuto e utilizzato per mantenere sotto controllo le inevitabili frange puritane ed estremiste che un po’ tutte le fedi conoscono, sembrano non avere più alcuna efficacia. Non tanto e non solo nel prevenire ed emarginare gruppuscoli fanatici, ma nel garantire l’immensa Comunità (Umma) da scontri intestini che riaprono antiche ferite facendole sanguinare come non mai: conflitti etnici (arabi-turchi-curdi-berberi…) e settari (sciitisunniti in tutte le loro sottodeclinazioni, wahhabiti, salafiti, Fratelli Musulmani da un lato e imamiti, zayditi, ismailiti, alawiti dall’altro), per non parlare di altri sottogruppi ormai neppure più considerati musulmani da molti (yazidi, drusi, ahmadiyya, bahai’…).  La presunta incompatibilità fra islam e razionalità, filosofia e modernità mi pare inoltre smentita non soltanto dai grandi del passato (quali Averroè e Avicenna), ma anche e soprattutto dalle recenti 'primavere arabe' che hanno mostrato al mondo un’immensa potenzialità di energie giovanili per una volta non mobilitate contro il nemico di turno (Usa, Israele o Occidente 'crociato-sionista'), ma a favore di dignità, libertà, fine della corruzione e reale sviluppo.  Non la religione, ma ben più concreti e miopi interessi, hanno impedito in tanti di questi Paesi il sorgere di una classe media, il consolidarsi di istituzioni affidabili, la redistribuzione equa di immense ricchezze. Senza corpi intermedi reali ed efficaci quali partiti e organizzazioni davvero indipendenti, media realmente liberi, libere associazioni di cittadini non-sudditi, la pantomima di elezioni a suffragio universale non fanno che cambiare la casacca del nuovo despota, senza alterare in sostanza la situazione. Aver favorito la religione come unico rifugio a società prive di altre valvole di sfogo, poteva avere un senso anche se perverso nella logica ferrea (ma di corto respiro) della Guerra Fredda. Ora la realtà presenta spietata il conto e indica chiaramente da quali centrali, a forza di iniezioni generose di petrodollari, una versione mutante e nichilista dell’islam sia stata sponsorizzata a livello planetario.  Chi spara ciecamente su gente inerme e innocente non esprime alcuna civiltà, e a ben guardare dell’islam sa poco o nulla dal punto di vista storicocritico, ma aderisce a una visione semplificata di un’ideologia che si avvantaggia della crisi delle altre e serve inconsapevolmente burattinai tutt’altro che disinteressati. Soprattutto qui e ora, con i sempre più numerosi musulmani che approdano da noi non solo per motivi economici, ma anche per godere delle più elementari libertà e opportunità, è aperta una grande sfida, un vero confronto di civiltà in cui ciascuno è chiamato a esprimersi e ad ascoltare, a dare e ricevere.