Opinioni

La migrazione di oltre 12milioni di elettori. Quell’immane «travaso» dai vecchi contenitori

Gianfranco Marcelli mercoledì 27 febbraio 2013

Che cosa si nasconde realmente dietro il più grande fenomeno di 'migrazione e­lettorale' mai registrato in Italia dal do­poguerra? Come mai 12 milioni e 700 mila no­stri connazionali, pari a quasi il 40 per cento dei voti validamente espressi tra domenica e lunedì scorsi, hanno accettato tutti insieme, senza esi­tare, le nuove offerte partitiche (Grillo, Monti, Ingroia, Giannino) presenti nelle schede 2013?

Oltre allo scon­tento e alla protesta, al di là del disincanto e magari del disgusto, quali altre motivazioni possono aver sospinto tanti concittadini ad abbandonare i 'vecchi prodotti' disponibili sul mercato per investire, quasi d’istinto, il loro suffragio in entità politiche mai sperimentate prima? Siamo un Paese che per decenni, ai tempi della prima Repubbli­ca, era stato abituato a registrare impercettibili variazioni di po­chi punti percentuali tra una sigla storica e l’altra. E dove la disaf­fezione verso la propria 'casa' di appartenenza tendeva a espri­mersi piuttosto con l’astensione che con l’abbandono o il trasfe­rimento ad altri lidi. Con l’avvento della cosiddetta Seconda Re­pubblica, la mobilità degli elettori aveva già cominciato a regi­strare brusche accelerazioni. E nessuno può certo dimenticare il clamoroso 'pieno' incassato a sorpresa da Forza Italia il 27 mar­zo 1994, con gli oltre 8 milioni di voti che di fatto svuotarono i serbatoi tradizionali del già tramontato 'pentapartito'.

Mai come questa volta, però, accanto ai passaggi da uno schiera­mento all’altro di quelli già esistenti (che l’analisi dei flussi in cor­so saprà meglio precisare), si registra una ricerca aggiuntiva, tan­to spasmodica quanto diffusa, di nuovi approdi, che potrebbe in­durre sociologi e studiosi della psicologia di massa a qualche ri­flessione ulteriore. È in effetti una domanda che non si concentra in una sola area tradizionale della nostra geografia politica e nep­pure in una particolare zona territoriale.

Per una aliquota signifi­cativa di essa, sembra quasi che, prima di consumare il distacco definitivo dalle urne rifugiandosi nell’astensione – che pure ha toccato in questo turno livelli mai raggiunti in una consultazione generale – , l’elettore tricolore voglia tentare fino all’ultimo una strada alternativa, non rassegnandosi a una fuga senza sbocchi. In questo senso, è un dato che, pur nella problematicità dello scenario apertosi lunedì sera, può ancora suggerire qualche con­siderazione positiva. Sì perché, indipendentemente dai destina­tari dei suffragi, se chi va al seggio non si rassegna all’insignifi­canza del proprio voto, ma decide comunque di fare un tentativo in più attaccandosi all’ultima proposta emersa all’orizzonte, si può ancora sperare che la disaffezione dalla politica non abbia e­roso del tutto il sentire civico collettivo.

Si può immaginare, in al­tri termini, che il desiderio di partecipazione faccia ancora pre­mio sulla rabbia e sullo smarrimento che un sistema politico in­capace di autoriforma ha inoculato in dosi industriali nei cittadi­ni. Ma se è così, chi oggi ha incassato quei consensi ha una re­sponsabilità in più: quella di consolidare la voglia residua di de­mocrazia e di non infliggere nuove e forse irrimediabili delusioni agli italiani.