Opinioni

Quel riso cinico anzi ienico. Nuovo caso di costruttore che gode nel dolore

Ferdinando Camon venerdì 21 luglio 2017

L’imprenditore che ride al telefono per il terremoto di Amatrice, mi fa venire in mente un film ritrasmesso da Sky pochi giorni fa: Le nevi del Kilimangiaro. È tratto da un racconto di Hemingway, e narra la storia di un esploratorecacciatore che muore nell’Africa selvaggia: ha una ferita in cancrena, non è in grado di curarsela, la cancrena avanza, la febbre sale, lui è in delirio, parla ad alta voce nel dormiveglia, sta su una branda dentro una tenda, la sua compagna lo assiste disperata e impotente, e intanto, attratta dall’odore del sangue e della cancrena (l’odore della morte), una iena s’avvicina sempre più, stringe d’assedio la tenda con cerchi concentrici, e ogni tanto fa sentire la lugubre risata da cui deriva il suo nome, iena ridens.

Credo che questa sia la più completa, la più chiara riproduzione in video della risata della iena: lunga, nitida, inaspettata. Sì, sembra una risata umana. Ma secca e nevrotica, non allegra. La iena sente l’odore della carne pronta da mangiare, vuol mangiarla, e ride. Con quella risata si prepara al banchetto. È la più perfetta esemplificazione del proverbio che dice mors tua, vita mea. Nel film, come nel racconto, la risata è maligna, perché risuona sempre quando l’agonia del moribondo ha un’accelerazione. «È venuto lo stregone – dice in delirio il moribondo –, mi cura con i segni magici».

Risata della iena: «Lui non ti curerà, io ti mangerò. Eccomi, sto arrivando». Perché mi viene in mente questa storia, racconto e film, mentre leggo la notizia dell’imprenditore che ride? Perché è la stessa storia: l’imprenditore sente che c’è una catastrofe intorno a lui, il terremoto, il crollo delle case, ma lui fa ricostruzioni e le ricostruzioni si nutrono di catastrofi, dove c’è una catastrofe c’è da mangiare. Gli inquirenti che lo stanno intercettando annotano: «Ride». Anzi, uno dei giornali su cui leggo la notizia riporta la parola tutta in maiuscolo, così: «RIDE». Forse il poliziotto che intercetta la telefonata voleva dire che quella era una risata forte, schietta, aperta, una risata piena di vita: come quella della iena. La iena con quella risata sardonica dice all’esploratorecacciatore: «Sbrìgati a morire, perché io ho fame».

L’imprenditoreche- ride fa al telefono lo stesso ragionamento: «Io sono pronto, ho macchine e uomini in libro paga che non stanno facendo niente, se c’è da ricostruire chiamatemi subito, arrivo», e ride. Abbiamo già sentito questo dialogo, con la stessa risata, in occasione di un altro terremoto. In quella telefonata un imprenditore diceva all’altro: «Ho sentito del terremoto in piena notte, stavo dormendo, ma mi sono alzato per l’allegria, che mi faceva ridere». «Perché, a me no?», risponde il collega. Se non ricordo male (cito a memoria, queste son cose che s’impiantano nel cervello, e ci restano), in quell’occasione gli imprenditori-ridenti, che avevano già ottenuto l’assegnazione dei lavori, furono oggetto di un riesame della delibera, che terminò con l’esclusione. Sono perfettamente d’accordo. E non da un punto di vista morale e astratto, ma da un punto di vista tecnico edilizio. Chi gode perché una casa crolla, e così lui può ricostruirla e farci un affare, non farà la casa perché sia una buona casa, ma perché sia un buon affare. Gli inquirenti, consegnando le intercettazioni, annotano: «Questo è un comportamento particolarmente cinico».

E per definire la risata dicono che l’imprenditore «ha riso in modo particolarmente beffardo». Son d’accordo sul «beffardo», meno sul «cinico». Cinico deriva da kyon-kynòs, cane. Cinico era l’atteggiamento dei filosofi che disprezzavano i lussi e i comodi, e si contentavano di vivere secondo natura, come i cani. Ma i cani non ridono dei mali altrui. No, quello non è un riso cinico. Peccato che noi non abbiamo l’aggettivo ienico, da iena. Qui ci starebbe benissimo.