Opinioni

Un luogo dove il cibo unisce sempre e di più . Quel desiderio del Papa: andare in pizzeria

Ferdinando Camon martedì 17 marzo 2015
​Il Papa ha espresso un rammarico: non poter uscire dal Vaticano, senza che nessuno lo riconosca, ed entrare tranquillamente in una pizzeria. Lo ha detto in un’intervista alla giornalista messicana Valentina Alazraki, e la parola «tranquillamente» è nel testo. Ma non è sulla tranquillità che vien da interrogarsi, bensì sulla pizzeria: perché una pizzeria? Perché una pizza? Che cos’è oggi, la voglia di pizza? È la voglia di popolo. Mangiare pizza è una fusione col popolo. Mi son trovato una volta in un ristorante di Milano dalle parti di via Montenapoleone (un ristorante costosetto, al di sopra delle mie possibilità, ma il mio editore stava lì, non potevo andar lontano), e mentre tutti i clienti mangiavano e discutevano, compìti, a bassa voce, all’improvviso la sala è attraversata da una scarica elettrica, e tutti si alzano in piedi di scatto. Mi alzo anch’io, ma non capisco perché. Sta entrando un gruppetto di sei-sette persone, uno davanti e gli altri dietro, e filano in silenzio verso un tavolo libero, sostano un attimo in piedi, e in quell’attimo il più autorevole saluta: «Signori», lo guardo, tutti aspettiamo la frase memorabile, e lui banalmente conclude: «Buon appetito». Aspettavamo la Grande Storia, è arrivata una cronachetta. Era il capo dello Stato, Sandro Pertini. Sto ripensando a quella scena. L’autorità più nota e più amata (Pertini era benvoluto da tutti, senza distinzione di partiti) entra in un ristorante e si siede tra i clienti. Tutti onorati. Adesso mi chiedo: potrebbe papa Francesco fare altrettanto? No, non sarebbe nel suo stile. Se papa Francesco entrasse in un ristorante, susciterebbe sorpresa fra i presenti. Se invece entrasse in una pizzeria, il sentimento di tutti quelli che lo vedono sarebbe l’euforia. Il ristorante, grande o piccolo, alto o basso, separa. La pizzeria unisce. La separazione ti mette in alto, l’unione ti mette in basso. Le cenette più intime e comunicative le ho avute in pizzeria. Quel che si diceva, come si stava, in pizzeria, non era possibile in un ristorante. A Matera, nella parrocchia dei Sassi, il parroco m’aveva chiamato a commemorare "Cristo si è fermato a  Eboli", e dopo la cerimonia m’aveva portato in una pizzeria, offriva lui. Ne ho accennato qui, anni fa. Aveva con sé sei ragazzini senza padre, lui faceva da padre a tutti. Arrivano le pizze, ma noi siamo in otto, e le pizze sono solo quattro. Lui ne prende una e la taglia a metà: metà per sé, metà per me. Altrettanto fanno i ragazzi, a coppie. Che cibo democratico, la pizza! Si può dividere in parti eguali, anche i ragazzini non hanno niente da eccepire. Son tempi lontani, in quella parrocchia c’era appena stato Mel Gibson a girare "The Passion" (visti dall’alto, i luoghi sembrano proprio quelli di Cristo, perfetti), Gibson voleva a tutti i costi una cenetta col parroco, e anche a lui il parroco aveva offerto mezza pizza. Gibson voleva protestare perché secondo lui la traduzione esatta non dev’essere «offerto a voi e a tutti», ma «offerto a voi e a molti». Se fate attenzione, infatti, è così che si dice, nel suo film, «a molti». Una discussione del genere, in una pizzeria, si può fare, io me la immagino. In un ristorante, non ci riesco. Sarà vero che "le parole sono l’uomo", e "le parole sono la cosa", ma è anche vero che "le parole sono l’ambiente". Le parole che papa Francesco direbbe in pizzeria non le direbbe altrove. E dunque, domandiamoci: ci andrà, prima o poi, in pizzeria? Sì o no? In un sondaggio, non mi stupirei che vincessero i sì. E largamente.