Opinioni

Il caso. Grinzane-Cavour, quanto pesa la cultura corrotta

Davide Rondoni mercoledì 25 febbraio 2015
La corruzione della cultura è almeno pari se non superiore a quella che ancora avvelena la burocrazia e la politica. E per certi versi è peggiore. Non si tratta di paragonare le cifre. La corruzione non è solo una questione di soldi. È ovvio che intorno a un premio letterario girino meno denari che intorno a un appalto edile o di servizi. Ma la corruzione e la perversione, il pervertimento di risorse e di beni, sono ben maggiori se – in nome di qualche regalìa, di qualche convenienza ideologica, o da salotto – si presenta come cultura della paccottiglia. Se si presentano come “intellettuali di valore” dei palloni gonfiati, persino dei servi o dei corifei di qualche pifferaio. Infettandone, poi, le scuole, e avvelenando la fame di senso critico di tanti. In questi giorni sono apparse notizie che riguardano indagini per nulla simpatiche su esponenti importanti del mondo dello spettacolo, del giornalismo e della cultura. Fatti controversi, spesso ancora da chiarire: storiacce di ipotizzate maxi evasioni, di presunti pagamenti in nero, di manifestazioni che viaggiavano a suon di compiacenze e di regalìe. Voci note che abbiamo sentito irritate con l’«uomo vestito di bianco» (il Papa), che ci ricorda che bene  e male non vanno confusi, i quali poi si ritrovano accusati di assommare cariche in patria e milioni occulti in banche straniere. E notizie e veleni legati alla gestione di un Premio letterario, il Grinzane Cavour, gran pedigree sabaudo, ambìto palco da parte del bel mondo culturale poi reietto e rimosso nel momento in cui emersero strane manovre del suo Patron, messo alla gogna. Il quale ora sembra “vendicarsi” del trattamento e dell’oblio infertogli, e racconta ai giudici di giornalisti e scrittori (o pseudoscrittori) golosi di quattrini, meglio se in nero.  Più di un’ombra su un mondo popolato da gente col ditino alzato, a far la morale dal pulpito di palchi, rubriche giornalistiche e festival. Il quadro che ne viene, in una ridda di interviste, deposizioni ai giudici, smentite, minacce e querele è tra grottesco e penoso. E rimette in discussione, ancora una volta, quale sia la vera cultura: quella che si misura solo in densità di libri, articoli e manifestazioni, o quella che coincide con il senso critico a riguardo delle cose importanti della vita? Mia nonna Peppa era un’esponente migliore della cultura italiana, rispetto a tizi con il nome in vetrina ovunque.