Opinioni

Il direttore risponde. Qualche nota sulla guerra, sulla pace e sull’utilità di fare storia

Marco Tarquinio mercoledì 22 gennaio 2014
Signor direttore
le scrivo per sfogare tutto il mio sdegno verso l’articolo pubblicato venerdì 17 gennaio sotto al titolo «Quando i preti vanno alla guerra» di Franco Cardini. È inammissibile che un giornale come "Avvenire" possa pubblicare un articolo del genere e non dissociarsi nemmeno con un breve commento da quanto scritto. Come può un giornale cattolico condividere quanto scritto: «Allora io nel nome del Cristo Figlio di Dio Vivo e Vero non vi chiedo di non uccidere, ma pretendo da voi qualcosa di molto più alto e difficile: di non odiare nemmeno quando combattete, di amare sinceramente il vostro nemico ch’è egli stesso vostro fratello anche nel momento in cui lo uccidete o egli vi uccide in battaglia». Boicotterò il vostro giornale, perché dovrebbe essere per una pace concreta, e non per una pace con le armi. No ai cappellani militari, non c’è pace per chi annuncia la pace attraverso la morte. Shalom.
Alessandro Conti
 
Caro direttore, la scrivo in merito all’articolo di Franco Cardini sui cappellani militari, «Quando i preti vanno alla guerra». Ben consapevole della finalità scientifica della sezione in cui è inserito il contributo, non riesco a comprendere quali fossero le vere intenzioni del professor Cardini. Dopo un confronto con altri amici, la sensazione prevalente è stata, purtroppo, quella che l’autore dell’intervento abbia espresso, senza mezzi termini, un atteggiamento giustificatorio nei confronti della bellicosa istituzione del cappellano militare. Anzi emerge una sottile ammirazione verso questi «religiosi» che cercano «di dare un senso alla morte pro rege, pro patria, pro aris et focis. L’incipit del testo, con il riferimento al poverello d’Assisi, è stato accolto da molti lettori come un’impropria attribuzione del ruolo di cappellano militare ante litteram a Francesco che significa, subdolamente, colorare di serafica pace e di profonda umanità ciò che è invece disumano e distruttivo. Non è tutto. Le parole dell’anonimo cappellano dell’imperatore Francesco Giuseppe, riportate al termine dell’articolo, hanno accresciuto il disagio e il disgusto. Personalmente sono rimasto sconvolto dall’aggettivo utilizzato da Cardini nella seguente frase: «Eppure, in tutto ciò v’era (e continua a esserci) qualcosa di sublime». Cosa può esserci di sublime in tutto ciò? Sarebbe doveroso sostituire quell’attributo con folle, diabolico, insensato... Mentre leggevo, pensavo che 23 anni fa iniziava la prima Guerra del Golfo, uno slancio emotivo in più per dissociarmi. Perché, caro direttore, non è intervenuto per impedire la pubblicazione? Faccio appello, ora, alla sua coscienza di uomo credente.
Pasquale Antonio Costante, Pompei (Na) Mentre mi accingo a rispondere a questi due gentili lettori, è martedì sera e ho sulla scrivania "Avvenire" del 21 gennaio che in prima pagina porta con forte evidenza l’ennesimo titolo con foto dedicato alla feroce guerra civile che sta martoriando la Repubblica Centrafricana. Stavolta però introduce a una duplice buona notizia: l’elezione di una donna alla presidenza del Paese e l’impegno diretto dell’Unione Europea che, dopo mesi di esitazioni, ha rotto gli indugi e deciso un intervento militare ed economico-umanitario al fianco della Francia e dei Paesi africani già presenti nell’area. Si tratterà di un intervento armato di «stabilizzazione», accompagnato da un’iniziativa di concreto sostegno alla popolazione civile, per ricreare condizioni di pace e sicurezza, contrastando e disarmando le milizie contrapposte e ponendo fine alle sofferenze di tanta povera gente segnalate per giorni dai missionari e dalle missionarie ai quali abbiamo dato voce. Non so per certo, ma sono sicuro che con i diversi contingenti militari inviati nella Repubblica Centrafricana ci saranno anche dei sacerdoti, dei cappellani militari. E da uomo e giornalista che ama la pace, e cerca di dare un contributo alla costruzione di un mondo più giusto, sono contento che ci siano. Non voglio soffermarmi su questo punto, pur molto importante, perché ne abbiamo scritto molte volte (rimando, in particolare, alla riflessione che sviluppai io stesso in questo stesso spazio il 12 agosto 2012, leggibile anche sul nostro sito online). Ma sfido chiunque, e anche lei, gentile signor Conti, a dimostrare che questi preti sarebbero uomini di Dio che «annunciano la pace portando la morte». Gli slogan a effetto possono risultare molto facili, ma sono sempre ingiusti e qualche volta anche violenti e deformanti. Mi dispiace per lei ma non ho alcun dubbio che questo, stavolta, sia il caso. E vengo alla recensione del professor Franco Cardini al bel libro del professor Vicenzo Lavenia ("Il catechismo dei soldati - Guerra e cura d’anime in età moderna", Edizioni Dehoniane Bologna). Non si può e non si deve evitare di fare i conti con la storia, e non si può neanche pensare che essere "per la pace" significhi rimuovere la realtà della guerra, lo sviluppo delle sue modalità, i tentativi di umanizzare o al contrario di rendere "perfetta" e "asettica" quella che lo stesso Cardini in un suo memorabile libro definì l’«antica festa crudele». Comunque, bisogna avere lenti ben distorte per considerare l’opera di Lavenia una pubblicazione guerrafondaia (pubblicata dai dehoniani!) e l’elegante e chiara lettura di Cardini​ un’apologia dei massacri bellici... Quanto all’aggettivo «sublime», preceduto da un «eppure» che dice molto, e quasi tutto, io avrei aggiunto volentieri anche un «paradossale». Ma questo non spiega certe sospettose incomprensioni e qualche smania di boicottaggio... Sia il senso della frase del recensore, sia il senso di quella invocazione di prete di un secolo fa sono limpidi e inequivocabilmente sconvolgenti, proprio come sono sempre sconvolgenti tutte le guerre, anche quelle di pura difesa, e come specialmente sconvolgente fu la carneficina di fratelli consumata nelle trincee della grande guerra. Utile è la storia, inutile fu la strage, immane e come definitiva eppure solo preludio a tragedie persino peggiori. Infine, al caro signor Costante, posso dire che la mia coscienza non è mai tranquilla, ma in questo caso è assolutamente serena. Perché non mi piacciono le guerre, neanche quelle di parole, ma non sopporto le rese dell’umanità e dell’intelligenza. Non si può avere paura di imparare, di capire e di intervenire là dove c’è da farlo: per illuminare un po’ del nostro lungo e tortuoso cammino di uomini e donne su questa terra, per cercare di impedire il male. Nella mia Assisi ho imparato sin da bambino, proprio da Francesco, che «pace» e «bene» o vanno insieme o non sono. Voglio dire, gentile signor Conti, che la pace è concreta solo se è coniugata col bene, il bene secondo Dio e nella vita vera delle persone, soprattutto dei piccoli, degli ultimi, dei minacciati dai potenti e dai violenti. E, dunque, pace e bene.