Opinioni

Vito e il senso dell'esistenza. Proviamo a incrociare l'aula di Rivoli e le scuole di Spagna

Davide Rondoni martedì 25 novembre 2008
Per una strana coincidenza, mentre qui in Italia si piange attoniti e con rabbia d'insurrezione la morte di un ragazzo per il crollo di un soffitto dell'aula, in Spagna c'è chi esulta per una sentenza che "manda fuori dalla porta" delle aule scolastiche il crocifisso. La strana coincidenza urge, tra le lacrime del cuore, a guardare proprio lì, tra le macerie, senza distogliere lo sguardo. Perché si piange la vita di un ragazzo, la vita intera di un ragazzo che incontrava a scuola i contenuti dell'insegnamento, le cose da imparare, le nozioni. E se lui e i suoi compagni alzavano lo sguardo vedevano, oltre ai ritratti di presidenti, il segno di un uomo-Dio messo in croce. Il segno di una strana vittima. Il segno di una morte sofferta perché la vita risorga. Io non so se Vito abbia mai guardato il Crocifisso. Ma se il Crocifisso non guarda ora quel ragazzo, se il Dio-uomo in cui credo non lo prendesse ora dalla sua croce di banchi sepolti, di tubi divelti, di crollo idiota e colpevole, per stringerlo al Suo petto di cielo, allora sarei io il primo a cacciarLo da ogni luogo come statuetta inutile. Di fronte a quella morte assurda possiamo fissare gli occhi chiari di Vito, e il crocifisso. E offrire al suo spasimo il nostro. L'irruzione della morte nella vita quotidiana dei nostri ragazzi ci fa domandare quale sentimento, quale visione di essa abbiano maturato. In certe manifestazioni di inebetito dolore, di pietà lacrimosa e demente, e di cieca rassegnazione, vediamo i segni di qualcosa di antico, di pre-cristiano, se così si può dire. Un fatalismo senza nessuna inquietudine. E il «perché?» gridato da molti sembra più che una vera domanda al cielo, una chiusa invettiva contro gli uomini o un fato cieco. In questi giorni in cui vampiri gentili e crudeli trionfano nei cinema, proposti con gran dispendio di mezzi ai nostri adolescenti, qualcuno ha fatto notare che ormai, deprivati di una educazione religiosa, i ragazzi hanno in questi fenomeni che sfruttano la morte in senso spettacolare forse gli unici punti di contatto con una elaborazione intorno al problema. E il crocifisso viene mandato fuori dall'aula. Perché "disturba". Esultano nella Spagna comandata da Zapatero che comunque ha scelto per le sue figlie una scuola dove c'è l'ora di religione. Certo una statuetta attaccata al muro non è niente, se in chi lo guarda non s'affaccia una domanda reale circa il significato, e se chi la espone e magari fa pure le battaglie politiche perché ci resti non sa spiegare veramente e commuoversi. Equiparare il crocifisso alla bandiera, al ritratto del Presidente, insomma a un simbolo solo storico-civile, non credo sia giusto. No, si tratta proprio di un segno d'altro genere. Che si pone ad un altro livello di signficati. Che vale, in questo senso, per i cristiani e anche per chi non crede, perché ricorda che il senso della morte è una questione che ci riguarda, ed è un problema che un ragazzo deve affrontare anche a scuola. Il crocifisso propone quella taciuta e però sempre risorgente questione in modo non ipocrita. E la propone legata a una possibilità di affronto non disperato. O si preferisce che i nostri ragazzi imparino cosa è morire dai filmoni hollywoodiani fatti per tirar su quattrini? Sentire un crocifisso come una minaccia per la laicità dello Stato è una bufala che non sta né in cielo né in terra. Tra i tanti disagi che i nostri ragazzi, anche nelle manifestazioni politiche, stanno mostrando non mi pare che ci siano i segni di quella "cristofobia" che invece eccita certi loro genitori-consiglieri o certi media. Proprio i maledetti fatti di questi giorni, e gli occhi chiari e pieni di infinito del povero dolcissimo ragazzo di nome Vito, ci possono far pensare meglio a che cosa proporre o cosa togliere da davanti agli occhi nei luoghi che chiamiamo pubblici. E che non significa anonimi, anzi: sono i luoghi dove la vita e la morte di ognuno non si lasciano occultare.