Opinioni

Gli scarsi applausi della gente dopo la cattura di Iovine. Prosciugare il consenso ai clan con la forza dell’economia legale

Antonio Maria Mira venerdì 19 novembre 2010
Esultavano, mercoledì sera, i poliziotti napoletani mentre "scortavano" in carcere Antonio Iovine. Alla stessa ora a Casal di Principe solo una pattuglia di persone si recava al commissariato per ringraziare i poliziotti per la cattura di "O Ninno". Non più di quaranta, rappresentanti di associazioni che da anni combattono sul fronte della legalità, dal Comitato don Peppe Diana a Libera fino alle cooperative sociali che lavorano sui beni confiscati. Il resto è silenzio. O peggio... «Perché rallegrarsi di un arresto? Non ci ha fatto niente di male», commentavano ieri i vicini di casa dell’ex latitante. Per poi chiudere ogni altro discorso con uno sconfortante «quando a governare questa terra c’era la camorra, si viveva meglio. Ora che c’è lo Stato siamo rovinati». La spiegazione è altamente "edificante": «I boss mangiano la torta ma ti danno una fetta, i politici mangiano per fatti loro». No, non si esulta nella terra del casalesi per l’arresto del boss, responsabile di omicidi, inquinatore con il traffico dei rifiuti tossici, presenza asfissiante per l’economia locale con l’usura e il pizzo. Paura? Certo. I camorristi da questa parti hanno dimostrato di sapere usare la violenza con meticolosa professionalità. Hanno pagato con il sangue imprenditori, poliziotti, magistrati, politici, semplici cittadini e perfino un prete, don Peppe Diana, parroco di Casal di Principe. Proprio lui, assieme agli altri parroci della Forania, nel Natale del 1991 scrisse un fortissimo documento intitolato «Per amore del mio popolo», dove, tra l’altro, si denunciava: «L’inefficienza delle politiche occupazionali non può che creare sfiducia negli abitanti dei nostri paesi». E, aggiungeva, «la camorra riempie un vuoto di potere». Occupazione, lavoro, economia, potere e, quindi, consenso. Se Iovine girava indisturbato (fino a due giorni fa) per il suo paese, se da 16 anni si cerca invano Zagaria, se la gente non esulta per la loro cattura e, anzi, li difende, la questione è tutta lì.E non solo nelle terre dei casalesi. Proprio ieri una brillante operazione della Squadra mobile di Reggio Calabria ha portato al sequestro di beni per più di 200 milioni di euro (non è male ricordare che si tratta di circa 400 miliardi delle vecchie lire...) alla cosca Commisso di Siderno. Soprattutto imprese e perfino un enorme centro commerciale. Tutto questo, ci ricordava uno dei bravi investigatori calabresi, «vuol dire centinaia di posti di lavoro...». Questo offre la mafia, violenza e lavoro, non come diritto, ma come benevola concessione. Lavoro nero, magari, senza contratto o pagando un dazio (spesso l’impegno è di lasciare alle cosche parte dello stipendio), ma comunque lavoro, dove non c’è o si sta perdendo. Briciole lasciate cadere dalla tavola dei mafiosi. Ma spesso le uniche disponibili. Lo aveva capito bene Pio La Torre, padre della legge sulla confisca dei beni: è sul fronte economico che le mafie devono e possono essere vinte. E per questo venne ucciso. E non è un caso che lo abbia citato ieri anche il questore di Reggio Calabria, Carmelo Casabona («Questa operazione è il modo migliore per onorare la sua vita»), a lungo questore a Caserta, proprio a combattere il clan dei casalesi.Lo aveva capito bene anche il generale Carlo Alberto Dalla Chiesa, poi ucciso a sua volta. «Gran parte delle protezioni mafiose, dei privilegi mafiosi certamente pagati dai cittadini non sono altro che i loro elementari diritti. Assicuriamoglieli, togliamo questo potere alla mafia, facciamo dei suoi dipendenti i nostri alleati». Strada difficile, lunga? Certamente. Ma va imboccata, con decisione. Non siamo all’anno zero. Lunedì prossimo verrà inaugurata la prima associazione antiracket di Castel Volturno, intitolata a Domenico Noviello, imprenditore ucciso dei casalesi nel 2008 per aver detto "no" alle loro pretese. Era solo, abbandonato da tutti. Lunedì ci saranno dieci imprenditori suoi compaesani, che hanno deciso di denunciare e con loro ci saranno anche le istituzioni. Un segno forte. Da applauso corale.