Opinioni

Una lezione che dobbiamo imparare. Profughi, la perenne guerra delle mine

Ferdinando Camon venerdì 18 settembre 2015
Ci sono delle mine, nelle strade che i fuggiaschi dalla Siria percorrono in Europa per salvarsi. Ma sono mine messe lì da chi vive adesso su quella terra, che è la Croazia, o sono mine antiche? Sono antiche. Furono messe lì per questo, le mine, e dunque svolgono il loro diabolico compito, o no? Sì, per questo: le mine, qui come dappertutto, vengono messe con un compito (se fossero soldati, si direbbe "un ordine") di uccidere sempre, in qualunque epoca futura, chiunque passi lì sopra. Anche alleati o amici? Anche alleati o amici. Anche i figli del popolo che le mette? Anche. Le mine sono sentinelle perennemente all’erta, mai dormienti, pronte a uccidere chi le tocca. Furono collocate ("posate") durante la guerra civile jugoslava, anni 1991-1995, vent’anni fa, ma sono ancora attive, se fossero uomini diremmo "all’erta". Chi mette le mine (in questo caso, un popolo fratello, perché quella era una guerra civile) ragiona così: «Metto le mine per uccidere chi ci passa sopra. Non so chi sia, ma è mio nemico, ho interesse che muoia. Adesso e sempre. Le metto seguendo un disegno che solo io conosco, un disegno non razionale, non logico, non si può indovinarlo col proprio cervello, bisogna avere la mappa del campo minato, ma questa mappa ce l’ho soltanto io, e posso distruggerla. Chi attraversa il mio territorio, gioca alla roulette russa. Chi sono quelli che voglio uccidere? Combattenti miei nemici? Sì, se uccido un soldato faccio bingo. Quindi niente donne? Al contrario: se uccido una donna, faccio super-bingo. E niente bambini? Al contrario: se uccido un bambino o una bambina, faccio super-super-bingo». Questo era (è sempre) il ragionamento di chi posa le mine. Se era una guerra civile, tu dovevi fiaccare il morale dei tuoi fratelli-nemici, e glielo fiacchi se uccidi uno di loro, ma glielo fiacchi di più se gli uccidi la moglie o la figlia, e glielo fiacchi al massimo se gli uccidi un nipotino o una nipotina. La guerra più guerra è la guerra civile, quando ammazzi i tuoi fratelli. Su questa guerra civile in Jugoslavia, in cui furono posate queste mine, è impiantato il film Underground di Kusturica. Un grande, emozionante film («un po’ pletorico», dicono però i critici cinematografici). L’ho visto a Parigi, quindi in francese. C’era un punto in cui diceva, in versi: «Une guerre / n’est pas une guerre / jusque le frère / n’agresse le frère», una guerra non è una guerra finché il fratello non aggredisce il fratello.Di quella guerra ricordo un episodio. C’era una bambina che all’alba usciva da casa, in un villaggio assediato, per fare non so che cosa, e poco dopo rientrava. Un cecchino l’aspettò, nascosto bene. La bimba uscì. Un colpo secco, e cadde stecchita. Ignoro cos’abbia fatto il cecchino, ma se ha lanciato un urlo di gioia, è stato coerente. Secondo le norme civili che regolano la guerra (ma "civile" e "guerra" son due contrari), la mappa del campo minato andrebbe conservata, in modo da poter procedere allo sminamento quando verrà la pace. Ci sono però guerre in cui i due nemici pensano che non verrà mai la pace. Allora la mappa del minamento viene distrutta. Qui, in Croazia, apprendiamo un’altra cosa: la mappa esiste (a quanto pare), ma le mine potrebbero essersi spostate. Succede, quando si posano le mine su un pendio, o su un terreno smottante. Mentre scrivo, pare che volontari croati guideranno i profughi da un’altra parte, per evitare che saltino in aria. Speriamo. Ma se alcuni muoiono, è questo che volevano, quelli che hanno messo le mine? Loro credevano nel binomio suolo-sangue: solo chi ha il loro sangue può calpestare il loro suolo. E questi randagi, che hanno un’altra pelle, altra faccia, altra lingua, magari altra religione, non hanno il loro sangue. Perciò, che muoiano.