Opinioni

La sfida politica di «ricostruire». Problema di tutti

Sergio Soave giovedì 25 novembre 2010
Luca Cordero di Montezemolo ha annunciato che sente la responsabilità di «fare qualcosa per il Paese», il che sembrerebbe indicare una sua volontà di entrare nell’agone politico. L’intenzione dichiarata è quella di «fare squadra», slogan suggestivo e non inedito (e, infatti, già impiegato anche durante la sua gestione di Confindustria). Ma è ormai chiaro a tutti che l’esigenza di coesione sociale è molto sentita nel Paese, e che se ne vedono i sintomi in vari settori.Nonostante l’azione di settori e gruppi che puntano a esasperare le tensioni, nelle università come a Napoli, il segno profondo del modo col quale la maggioranza degli italiani affronta le crisi e le difficoltà è quello della ricerca paziente e testarda delle intese possibili. Non si capirebbe, altrimenti, come sia stato possibile gestire situazioni seriamente critiche in tante unità produttive, arrivando a definire forme nuove di contrattazione che agevolano gli investimenti, anche in situazioni tradizionalmente assai delicate (come quella di Pomiglano d’Arco). Nonostante l’azione del "fronte del no" incentrato sulla Fiom-Cgil, sono stati stipulati contratti e accordi, quasi sempre unitari, in molte categorie e in centinaia di situazioni aziendali. Il senso di responsabilità delle parti sociali è un modo concreto ed esemplare di fare squadra.Se ora anche Montezemolo tenterà di dare un suo contributo "politico" a questo processo, la cosa sarà certamente utile perché aiuterà a rafforzarlo. È proprio il mondo politico – attraversato da fenomeni di disgregazione piuttosto evidenti – che più spesso oggi appare indifferente e talora ostentamente lontano da un giusto clima di responsabilità collettiva. Anche in questo campo, tuttavia, si deve considerare la crisi per quel che soprattutto è, una fase di giudizio e di passaggio.La nuova dialettica che si è aperta nell’ambito del centrodestra e dell’area centrista e moderata è irta di controversie, ma non bisogna trascurare il fatto che seppure attraverso polemiche (e più di un’asprezza verbale) pare puntare a nuove forme di intesa o, per usare un termine caro a Pier Ferdinando Casini, a un «armistizio» che non è una pace irenica, ma soprattutto non è guerra ed è, comunque, la premessa per la ricostruzione di equilibri perduti.Anche a sinistra si tenta di superare antiche e recenti rotture, e anche qui, naturalmente, attraverso fasi alterne. Forse la scelta di Pierluigi Bersani, di stipulare per prima cosa un patto con la Sel di Nichi Vendola e con l’Idv di Antonio di Pietro per rivolgersi solo poi ai centristi, che ha ricevuto un ovvio rifiuto da questi ultimi, è stata controproducente e ha dato nuova evidenza alla difficoltà interna del Partito democratico, che è paragonabile a quella che ha investito l’altro grande partito-contenitore, il Popolo della libertà.Tuttavia non si può non notare che anche con queste manovre si cerca di «fare squadra», da una parte come dall’altra. Il problema, naturalmente, è di come riuscirci, di come realizzare nelle nuove condizioni politiche un’offerta coerente e coinvolgente, che rifletta le esigenze di coesione che di fatto animano la società.È presto per valutare se l’iniziativa di Montezemolo, di cui ancora non sono stati precisati i caratteri concreti, sarà un utile ingrediente in questa fase confusa, ma non priva di prospettive ricostruttive. C’è da augurarsi che anche in lui prevalga lo spirito costruttivo e ricostruttivo su quello polemico e caustico, che pure non gli manca.