Opinioni

Prima i minori. Un principio troppo relativizzato

Carlo Cardia mercoledì 30 agosto 2017

Da troppo tempo, in alcuni Paesi europei, la cura dei bambini e il rispetto della loro personalità non sono più al centro dell’attenzione da parte del legislatore, dei giudici, degli operatori che ne abbiano responsabilità. Si va diffondendo una cultura indifferentista, agnostica, che ignora ormai le Carte internazionali dei diritti umani relative ai minori, e che rischia progressivamente di considerare il bambino un’entità astratta, quasi un numero manipolabile a piacimento secondo l’ideologia cui ci si ispira, o forme di fondamentalismo abitudinario che tendono a radicarsi nelle società di oggi. Quanto avvenuto di recente a Londra, con una bambina di religione cristiana affidata a una famiglia islamica fondamentalista che ha cercato di cancellare le tracce, anche quelle più semplici, proprie della famiglia naturale - prima fra tutte l’odioso atto di toglierle il Crocifisso dal collo - deve indurre a una riflessione attenta sulla condizione dei bambini in una società che si proclama aperta, ma si dimostra chiusa tra relativismo assoluto e multiculturalismo estremista.

Anche limitando alcuni richiami alla Gran Bretagna, sono numerose le scelte, giuridiche e sociali, che hanno avuto di recente come obiettivo l’espansione di una cultura individualista, le cui vittime sono il diritto di famiglia e la condizione dei soggetti più deboli, attraverso la negazione di garanzie prima considerate fondamentali. Una volontà negazionista esplicita cerca di marginalizzare il diritto di obiezione di coscienza nei confronti delle pratiche abortive, fino al punto di obbligare con sentenza avallata dalla Corte Suprema di Scozia due ostetriche a prendere parte attiva a un aborto effettuato dalle colleghe, mentre l’Ordine dei medici inglese ha stabilito che i medici stessi devono prepararsi a mettere da parte le loro opinioni religiose per pratiche sanitarie cui in coscienza sono contrari. Ancora una gravissima, inedita, violazione della libertà religiosa s’è imposta in Gran Bretagna con l’obbligo di affidare i minori in adozione a coppie omosex per chiunque, anche per istituti religiosi, o di altra tendenza ideale.

Viene negato così in radice il diritto di libertà religiosa che spetta a Chiese e confessioni religiose, le quali devono poter agire coerentemente con i princìpi che integrano la propria identità; soprattutto s’è cancellato il diritto dei minori loro affidati di avere una mamma e un papà. Con un effetto ancor più ampio, si sta realizzando in larghe zone d’Inghilterra l’introduzione di alcuni spezzoni di sharia, con il rilievo dato ai tribunali islamici cui si può ricorrere più o meno volontariamente, senza interrogarsi sulle conseguenze che una scelta del genere può avere sullo statuto di cittadinanza delle persone, delle donne, dei minori, cui verrebbe applicato un diritto di famiglia del tutto estraneo alla tradizione europea e ai diritti umani fondamentali.

Non deve sfuggire il significato di questi semplici richiami. Se si affievolisce progressivamente la sensibilità per i diritti di libertà e la cura dei minori, ogni ragione può sembrare utile per far decrescere la tutela delle categorie più deboli. In questo quadro si coglie meglio la gravità di quanto accaduto a Londra con l’affidamento di quella bambina di 5 anni a una famiglia senza accertarsi prima, con la massima cura, dell’ambiente nel quale veniva inserita, delle abitudini nuove alle quali sarebbe stata costretta, così usando il minore come una pratica da sbrigare. L’affidamento di un bambino, già nell’ambito di una crisi coniugale (per separazione o divorzio), ma ancor più per l’affidamento a soggetti estranei alla famiglia naturale, è evento che incide su tutta la sua vita futura e per questo segue un principio fondamentale con corollari collegati.

Il provvedimento deve avere come riferimento esclusivo l’interesse del minore, in primo luogo con ogni verifica possibile perché il suo sviluppo e crescita non subiscano traumi, o fratture dolorose, rispetto alla cura e all’attenzione ricevute in precedenza, le migliorino invece di farle regredire. Nella cura rientra in primo luogo il rispetto dei diritti, compresi quelli in materia di religione, educazione affettiva, coerenza e continuità con i tratti psichici essenziali impressi sin dalla nascita, secondo principi proclamati nella Convenzione internazionale dei diritti del Fanciullo, e in tutte le Costituzioni europee e occidentali. Tanto questo è vero che l’affidamento minorile, per qualunque motivo adottato, ove non risponda poi ai suoi presupposti, o comporti la lesione della personalità del bambino, è soggetto sempre e ovunque a possibilità di revoca, o azzeramento.

La violazione della personalità infantile assume carattere di maggiore gravità quanto più viene colpita quella continuità di educazione e di affetto ricevuto sino ad allora. Se poi il trauma è vissuto all’età di cinque anni, le conseguenze sono pesantissime e persino irreversibili: si spezza la memoria nell’educazione del bambino, che non scompare affatto, ma tende a ripresentarsi come in miscuglio incomprensibile e affastellato, ereditato dagli adulti; si determina una impossibilità di adattamento a persone e situazioni che la psiche infantile può rifiutare più o meno a livello istintivo; si rompe un equilibrio, anche di carattere religioso e morale, che dovrebbe consolidarsi con la crescita del ragazzo. Per il caso specifico della bambina inglese, è opportuno chiarire un punto. Una mentalità vetero-illuministica può far ritenere che l’elemento religioso non debba per sé interferire con l’educazione dei figli, con i provvedimenti del loro affidamento, con i rapporti personali tra coniugi.

Ma se questo è vero in linea di principio, ciò vale fino a quando il minore (ma anche l’adulto) sia immune da costrizioni, pressioni, condizionamenti, che violano la identità, finché cresca in condizioni di libertà e autonomia. Sta qui, ad esempio, la ragione per la quale in diversi Paesi europei le famiglie sono oggi impegnate a tutelare i propri figli da interventi estranei nelle scuole per diffondere le teorie del gender, o improbabili educazioni sessuali in tenera età. Ma una mentalità iper-relativista, unita a un multiculturalismo ottuso può indurre a esiti anche più gravi, facendo in modo che gli adulti considerino il bambino come un pacco da consegnare a estranei senza cura e verifiche attente perché i destinatari della consegna non coartino la sua personalità, cerchino di sradicare la sua fede e le sue credenze, lacerino la continuità della sua vita con un trauma non più superabile. In entrambi i casi, l’interiorità del bambino, insieme con l’identità religiosa acquisita, subiscono umiliazioni priva di ogni giustificazione, contrarie ai suoi diritti fondamentali. Siamo di fronte ad una patologia seria, che ha molte facce, e che richiederebbe una riflessione di diversi soggetti, ciascuno per la propria responsabilità.