Opinioni

Famiglie omogenitoriali, progetto per gli asili di Venezia. Pretesa di (ri)educare a senso unico

Gabriella Sartori sabato 28 dicembre 2013

«Imbarazzismi» (sic). La parola non me la sto inventando, la riporto tale e quale la leggo a pagina 14 del corposo Programma di educazione o meglio «ri-educazione» al (la teoria del) «genere» approntato per educatrici e insegnanti di sei Nidi e quattro Scuole d’infanzia del Comune di Venezia per l’anno scolastico in corso 2013-2014. Lo firma la dottoressa Tiziana Agostini, assessore alle Poltiche educative e per la famiglia, la quale sposa (e finanzia) il progetto di migliorare la conoscenza delle famiglie omogenitoriali e dei loro figli. Vengono chiamati a far lezione docenti universitari e no, tra i quali madri e padri "Arcobaleno" nonché associazioni "amiche", si indica una corposa bibliografia sul tema dell’omogenitorialità, il tutto all’insegna di un unico indirizzo di "pensiero": quello Lgbt e cioè politicamente corretto. Il che va ben oltre la giusta idea di inclusione: ingiusto sarebbe non "includere" i figli di coppie omogenitoriali, se non altro perché esistono. Ma, per far questo, perché mai si dovrebbero pressocché "cancellare" tutti gli altri, presso i quali, per esempio, andranno "incentivati" giochi in qualche modo "neutri", insomma giochi che, per dirla in parole semplici, nulla abbiano a che fare con deplorevoli stereotipi sessisti, quali macchinine per i maschietti e bambole per le femminucce. Insomma: lotta senza quartiere all’eterosesssismo, anche se per malavventura dovesse manifestarsi nei bambini dagli zero ai sei anni.

Gli estensori di questi programmi ammettono che, in classe, si possano verificare degli «imbarazzismi»: e vorrei ben vedere che così non fosse, dato il tipo, pardon il genere di lezioni che si vogliono propinare agli incopevoli infanti veneziani: che possono pure appartenere a famiglie omogenitoriali restando tuttavia, nella stragrande maggioranza, figli di un padre e una madre. Ma niente paura, il programma rieducativo veneziano insegna subito come affrontare e superare qualsiasi «imbarazzismo» si presenti. Io, però, nel vedere scritto «imbarazzismo» provo una sorta di ripulsa che va molto al di là del buon vecchio "imbarazzo" ancora valido su ogni serio vocabolario della nostra bellissima lingua. Che sia affetta da «imbarazzismo»? Chiederò lumi all’arcobalenico assessorato veneziano. Nell’augurare comunque Buon Natale e miglior Anno Nuovo all’assessorato medesimo, nonché al Dipartimento del ministero per le Pari Opportunità che in questi giorni ha stilato il rigido decalogo pro Lgbt per "rieducare" l’intera categoria dei giornalisti al Pensiero Unico Consentito, chiedo sommessamente e tanto per fare un esempio, se sarà ancora concesso di fare il suo mestiere all’ottima collega di Repubblica la quale, in data 4 dicembre, ha riferito di un prestigioso studio dell’università della Pennsylvania. Studio dal quale risulta senza ombra di scientifico dubbio che il cervello dell’uomo funziona in modo assolutamente differente da quello della donna e, ahinoi , perfino in modo a lei «complementare». La cosa grave è che gli scienziati di cui la collega si fa portavoce, scrivono tutto questo senza il minimo «imbarazzismo», finendo per giustificare il fatto del come e perché alle bambine possa accadere di preferire le bambole e ai maschietti le macchinine. Passerà indenne tutto questo al severo vaglio del novello decalogo nostrano? Oso sperare di sì. E così anche la nostra Costituzione sarebbe, per il momento, salvata dalla scure laddove insiste, ohibò, nel definire la famiglia come «società naturale fondata sul matrimonio».