Opinioni

I nodi (e un regalo). Giustizia, carcere, prescrizione: qualcosa da fare

Mario Chiavario venerdì 19 febbraio 2021

Nel campo della giustizia, prioritaria attenzione al settore civile. Questo il messaggio che il premier Mario Draghi ha esplicitato nel discorso d’investitura: un impegno giustificato anche dalle sollecitazioni provenienti dall’Europa e che non si segnala per divisioni di principio tra le forze politiche. Tutt’altro discorso quanto alla giustizia penale, a sua volta tutt’altro che immune da criticità e da esigenze di attenzione operativa. Si pensi al tema della prescrizione, che torna proprio oggi alla ribalta del confronto parlamentare, con gli echi di un annoso scontro tra giustizialisti e ipergarantisti.

Siamo nella parte finale di una legislatura, e con la vita quotidiana dei processi ulteriormente lacerata – non si sa fino a quando – a causa dell’emergenza pandemica. Difficile, dunque, che per aggirare il problema specifico ci si possa affidare soltanto a un impegno per il varo dell’ennesima riforma del Codice di procedura penale, com’era stato ventilato anche nelle affannose trattative volte al salvataggio del Governo precedente.

Auspicabile, senza dubbio, un impegno da prendere seriamente fin d’ora per incidere sulle proverbiali lentezze della macchina giudiziaria senza introdurre o avallare pesanti sacrifici ai princìpi basilari del 'giusto processo'. Pure a tal proposito dovrebbe però valere l’impostazione evocata in termini generali dal nuovo presidente del Consiglio: progettare in grande e in prospettiva anche lontana, ma senza dimenticare le urgenze o illudersi, come suol dirsi, ora per allora. Senza immaginare, dunque, che per quella via, in un breve volger di mesi, di reati prescritti non si sentirà più parlare o quasi. Tuttavia non è unicamente questione di dire 'sì' o 'no' alla legge Bonafede. Questa ha di fatto cancellato la prescrizione dopo la sentenza di primo grado, sovrapponendosi ai preesistenti freni che legge e giurisprudenza già ponevano a eventuali manovre difensive dirette a prolungare la durata del processo per 'guadagnare' la prescrizione.

In tal modo, però, si è finito col far incombere sulle parti private il rischio di un processo che non finisce mai. Alla cancellazione, che resta opportuna, di quella riforma non potrebbe però accompagnarsi qualche intervento più in radice? Magari avvalendosi di dati provenienti da esperienze straniere, tanto più che proprio la neo-ministra della Giustizia Marta Cartabia è un’autorevolissima esperta della comparazione giuridica transnazionale.

In Francia, ad esempio, almeno per i reati più facilmente destinati a rimanere a lungo occulti o dissimulati, la prescrizione non corre più – com’era da tradizione, e com’è tuttora in Italia – dal giorno della loro commissione ma da quello in cui possano venirne a conoscenza la vittima o gli inquirenti. La presenza di Cartabia come titolare del Ministero di via Arenula rende d’altronde certi che non resteranno sotto traccia altri problemi, ancor più di fondo, della giustizia penale. È nota, intanto, la sua competenza nel campo della 'giustizia riparativa', una cui attuazione, equilibrata ma più coraggiosa rispetto a quanto realizzato finora, può davvero fornire preziosi strumenti per dare corpo ai princìpi costituzionali di umanizzazione e di finalità rieducativa delle pene. Non meno sicura una sua consapevole sensibilità per i problemi del carcere, realtà intrinsecamente drammatica e ancora recentemente scossa da violenze e da morti inopinate, senza essere stata liberata dalla piaga del sovraffollamento. Alla base, la certezza che i diritti fondamentali non possono venir meno per nessuno e in alcun luogo: neppure tra quelle mura, pur non potendosi accettare che lì o altrove dei prepotenti, mafiosi o no, se ne facciano scudo per pretendere privilegi o per instaurare o consolidare posizioni di potere e condotte di soprusi.

Ma a far bene promettere è anche l’umiltà con cui, parlando delle sue visite compiute nelle prigioni italiane, le è accaduto di confessare smarrimento, unito alla coscienza di esserne uscita con domande a se stessa, più che con risposte alle questioni ascoltate, viste o percepite là dentro. Per finire, un piccolo ma significativo motivo di ottimismo, a causa di un 'regalo' che il Ministero della Giustizia ha ricevuto da un emendamento parlamentare inserito in extremis nell’ultima legge di bilancio. Si tratta di un milione e cinquecentomila euro: una cifra modesta per la contabilità dello Stato, tanto più che si tratta di un finanziamento annuo per soli tre anni. Quella somma, però, rappresenta un (provvidenziale?) sostegno per sottrarre dei bambini – in realtà, più di trenta – alla disumanità di un’incolpevole reclusione: è vincolata a un fondo per l’accoglienza protetta e sorvegliata, fuori dal carcere e con accanto i figli piccoli, di donne condannate a pene detentive. L’abbia o no già trovata sul suo nuovo tavolo di lavoro, si può essere sicuri che non sarà, per Marta Cartabia, solo una 'pratica' burocratica da evadere.