Opinioni

Uno dei temi delicati della «buona scuola». La "buona scuola": premi a chi si impegna non a chi fa corsi

Roberto Carnero venerdì 30 gennaio 2015
Il premier Matteo Renzi si è lamentato tempo fa del fatto che i giornali – e non solo perché in altre faccende affaccendati – sembrano «snobbare» il provvedimento del governo denominato 'La buona scuola'. Parliamone, dunque, anche se in realtà questo giornale, come altri, l’ha già fatto ampiamente quando lo scorso autunno era stata lanciata l’iniziativa di «consultazione popolare» tra docenti, studenti, famiglie ecc.: non i sindacati – avevamo notato – che teoricamente dovrebbero essere le rappresentanze di settore con cui, normalmente, i governi si confrontano su provvedimenti che riguardano, appunto, quel determinato settore. Come si sa, Renzi ha definito il pacchetto sulla scuola «la più grande riforma dal basso mai varata in un Paese europeo». D’accordo: dal basso o dall’alto la scuola ha bisogno, e urgentemente, di interventi, e senza dubbio a noi docenti fa piacere che un primo ministro, finalmente, attribuisca al tema dell’istruzione il rilievo che merita nell’agenda del Paese. Però sarebbe necessario che non dico ai 'proclami' (perché rischierebbe di suonare come una critica preventiva e forse anche prevenuta) ma alle (chiamiamole così) 'dichiarazioni di intenti' seguissero fatti concreti. Credo che a quel punto gli organi di informazione non mancherebbero di darne ampiamente notizia. Perché questa sarebbe davvero una notizia: che si decidesse di invertire la rotta tenuta negli ultimi anni, per tornare invece a investire sulla scuola. Investire vuol dire metterci risorse finanziarie, che per ora non si vedono.  Sempre Renzi, mentre afferma che entro fine febbraio verranno scritti i decreti, invita i soggetti interessati a partecipare ancora alla consultazione: a intervenire, discutere, criticare. Sarebbe bello che ci venisse spiegato in che modo, concretamente, si farà la sintesi delle migliaia di questionari e messaggi giunti al Ministero dell’Istruzione, ma sinora le risposte sono state piuttosto vaghe.  Veniamo però a due cose che – allo stato attuale – appaiono assodate. Pare deciso che entro il prossimo settembre verranno assunti in pianta stabile i cosiddetti 'precari storici' della scuola: a tale provvedimento l’Italia è obbligata da una sentenza della Corte di giustizia europea, la quale ha ritenuto scandaloso che si potesse continuare per anni ad assumerli a settembre e a licenziarli a giugno. Il governo sembra anche determinato ad abolire gli scatti di anzianità di maestri e professori (quello che chiama «il grigiore dei trattamenti indifferenziati»), per sostituirli con quelli che chiama «scatti di competenza». Questo è un punto molto controverso, sia perché gli scatti di anzianità per il personale della scuola esistono in tutti i Paesi europei, sia perché non è ancora chiaro chi avrà diritto a nuovi scatti di competenza. Leggendo il documento 'La buona scuola' apprendiamo che ogni docente avrà una sorta di 'portfolio' in cui raccogliere tutte le attività seguite in termini di formazione, specializzazione e aggiornamento: sulla base della propria 'raccolta' avrà diritto o meno all’ottenimento di uno scatto. La cosa strana, però, è che la quota dei docenti idonei a 'scattare' è stabilita a priori: il 66% del totale.  La questione della premialità al merito è molto complessa, anche perché è difficile giustificare il fatto che a parità di funzioni ricoperte corrispondano stipendi diversi. E poi la 'raccolta punti' dei corsi di aggiornamento l’abbiamo già sperimentata nella seconda metà degli anni 90, quando trovavi docenti di Matematica che seguivano corsi di aggiornamento in Letteratura italiana e viceversa, perché bastava accumulare i crediti e nessuno si era preoccupato di stabilire che ci fosse una congruenza tra i corsi frequentati e la propria disciplina di insegnamento.  Converrebbe piuttosto – lo si consideri pure un contributo alla «consultazione popolare» – incentivare economicamente, come già in parte avviene, quei docenti che sono disposti ad assumere incarichi e funzioni aggiuntive rispetto alla normale attività.  Perché altrimenti si rischia di dividere il corpo docente – peraltro, come si diceva, stabilendo le quote 'a prescindere' – tra insegnanti di serie A e insegnanti di serie B. E quale genitore accetterebbe che il proprio figlio venisse inserito, al momento dell’iscrizione, in una sezione dove magari insegnano tutti professori 'di serie B'?