Opinioni

Il gioco di realtà aumentata. Posseduti da Pokémon Go o cacciatori di mostriciattoli?

Umberto Folena mercoledì 24 agosto 2016
Prima notizia. Il piccolo Ivan (nome di fantasia), bambino russo di 10 anni in vacanza a Sousse, in Tunisia, mentre dava la caccia a un Pokémon ha perso l’equilibrio ed è precipitato dal balcone dell’albergo dove era in vacanza con la famiglia. Per fortuna non è in pericolo di vita. Seconda notizia. Al 27’ del primo tempo della partita di Premier League tra Hull City e Leicester, un tifoso della squadra di casa, Bob Pinckett, è entrato in campo per acchiappare un Pokémon. Ad essere acchiappato è stato lui da due steward. La partita è ripresa ed è terminata con la vittoria dell’Hull per 2-1. Terza notizia. A Osnabrueck, in Germania, Hermann P., un giovane di 22 anni all’inseguimento di un Pokémon, si è spinto sui binari della ferrovia. Per fermarlo sono dovuti intervenire gli agenti della Polfer. Il traffico ferroviario ha subito pesanti ritardi. Due di queste notizie sono vere, una è falsa. Quale, lo saprete alla fine di questo articolo (vietato andare a sbirciare!). Attenzione: non è detto che quella falsa sia la più inverosimile. D’altronde, 'falsità' e inverosimiglianza è il terreno di Pokémon Go, il gioco lanciato lo scorso 5 luglio in Gran Bretagna e poi nel resto del mondo con un successo travolgente. Secondo gli analisti di Sensor Tower, nei primi trenta giorni ha totalizzato un fatturato netto di 200 milioni di dollari. Il record precedente apparteneva a Candy Crush Soda Saga, che due anni fa nel primo mese fatturò 25 milioni, una miseria rispetto a Pokémon Go. Le tre notizie, vere e false come s’addice a un articolo che tratta di realtà aumentata, ossia di invasione del 'falso' nel mondo 'reale', sono casi limite, ma fino a un certo punto. I mostriciattoli sono sfuggenti e acchiapparli con l’apposita palla (virtuale) è facile per quelli di scarso valore, difficile per gli altri. Bisogna uscire di casa. I pokemon d’acqua prediligono fiumi, laghi e torrenti; quelli di terra boschi e giardini. Ma li si trovano sui marciapiedi e nei luoghi pubblici. Le cronache, e l’esperienza personale, parlano di gruppetti – squadre o mandrie, fate voi – di individui con gli occhi fissi sullo smart a caccia degli stessi pokemon, come allegri gitanti o tenebrosi zombi, fate voi pure in questo caso. Anche il lettore meno frettoloso si starà domandando: questo nuovo fenomeno sociale di massa fa bene o fa male, è giusto o sbagliato? Ecco, bisogna non essere frettolosi o domandarsi prima: che cos’è veramente Pokémon Go? Studi approfonditi non ce ne sono né possono esserci, essendo il gioco recentissimo. Gli psicologi di tutto il mondo stanno dicendo tutto e il contrario di tutto. Pokémon Go isola dal mondo; no, aiuta a socializzare; è un buon antidoto contro depressione e ansia perché attiva il rilascio di dopamina; certamente, proprio come fanno le slot machine, e anche lui crea una micidiale forma di dipendenza. Tra tanti dubbi, le certezze. Nel Regno Unito più di 6 milioni di persone hanno scaricato il gioco, spendendo per gli extra dagli 80 centesimi alle 15 sterline. E le preoccupazioni non sono certo limitate al vescovo di Noto, Tonino Staglianò, che come sua abitudine le ha cantate chiare: un gioco «diabolico», capace di «alienare migliaia e migliaia di giovani», creando un «sistema totalitaristico»; giocatori più pecore e zombi, insomma, che allegre comitive allegramente a spasso e socializzanti. Esagerato? Meno di quanto potremmo sospettare, comunque in ottima compagnia. Margherita Spagnuolo Lobb, psicoterapeuta direttrice dell’Istituto di Gestalt Hcc Italy, condivide l’accusa di Staglianò e rincara la dose, paragonando l’app del 2000 all’Lsd degli anni 60-70: «Allucinazioni, oggi come allora. Con la differenza che ieri era esperienza di gruppo e oggi è singola e personale, senza nessuno che protegga il giocatore dai pericoli del mondo reale». Non danno biologico, ma sociale. Più Far finta di essere sani di Gaber, in altri termini, che Lucy in the Sky for Diamonds dei Beatles. Un vescovo, una terapeuta. Poi però c’è anche il Pentagono che, alla voce di una palestra Pokémon nel proprio cortile, ha chiesto ai suoi dipendenti di non scaricare l’app sugli smartphone: «I motivi – ha dichiarato Gordon Trowbrigde dell’Ufficio stampa – potete immaginarli». Ci sono poi gli aeroporti tedeschi, che hanno chiesto alla Nintendo di far diventare gli scali 'Pokémon free', dopo casi di mancato rispetto delle norme di sicurezza da parte di viaggiatori scatenati alla caccia di mostriciattoli. Lo stesso Staglianò non è certo l’unico ad aver annunciato un’azione legale («C’è in campo la sicurezza sociale degli uomini e delle donne e della terra da preservare»). In Canada, Stato dell’Alberta, Barbra-Lyn Schaeffer ha annunciato una class-action: la sua abitazione è sede di una palestra Pokémon, con conseguente invasione di giocatori.  Piccole grandi sciagure inizialmente viste come fortune. È il caso del paesino di Occoquan, poco più di mille anime in Virginia, Usa, pittoresco centro coloniale che per qualche misterioso algoritmo è stata invasa da Pokémon virtuali e, di conseguenza, di cacciatori reali. «Impossibile resistere – confida Laure Lemons, accanita giocatrice – bisogna fare tappa qui, è come vincere la lotteria». Gli occoquanesi, sommersi giorno e notte da allegri e ciarlieri allenatori, dopo gli iniziali affari non condividono più lo stesso entusiasmo. La fortuna, o il guaio, è che Pokémon Go funziona. È facile da giocare, non richiedendo abilità particolari. Sfrutta l’effetto nostalgia in chi era ragazzo 1520 anni fa. È gradito dai ragazzi di oggi. Il piacere della caccia e della cattura genera dopamina, il nerotrasmettitore del piacere, placando l’ansia. Tutto perfetto? L’analista sociale Marco Morosini scuote il capo: «Pokémon Go a me sembra uno dei tanti modi di divorare il nostro tempo, rendendoci schiavi. Divertimento? Semmai lavoro non pagato». La soluzione? Proibirlo ai propri figli e nipoti? «Vorrebbe dire farci odiare. Semmai giocare insieme e ridicolizzare il gioco, sdrammatizzando». Al grande assente sulla scena del nuovo secolo, il sano senso dell’umorismo, si appella anche lo psicologo Fulvio Scaparro: «Diffido di tutto ciò che è modaiolo e quindi conformistico. Però sono anche un curioso a tutto campo. Pokémon Go è un gioco semplice ma tutt’altro che banale. Più che in casi analoghi, mi sembra scateni la sensazione di potere». Insomma ci farebbe 'delirare'? «A mancare è il senso dell’umorismo, il riconoscerci esseri finiti». Saper sorridere di noi stessi che giriamo in tondo per il quartiere a caccia di mostriciattoli, dandoci quindi un ragionevole limite, magari smettendo. (La notizia falsa? Come sempre è la più attendibile: quella del tifoso dell’Hull. Ma non è detto che alla prossima partita l’invasore cacciatore colpisca davvero).