Opinioni

La riforma della scuola. Più poteri ai presidi. E se non fosse poi male?

Roberto Carnero sabato 9 maggio 2015
Uno degli aspetti più contestati del disegno di legge sulla «buona scuola» – contro il quale ha scioperato il 5 maggio scorso la maggior parte degli insegnanti italiani – è relativo a quelli che i giornali hanno battezzato i «super poteri» dei dirigenti scolastici, tra cui la facoltà che verrebbe loro attribuita di scegliere i docenti per la propria scuola all’interno di un albo regionale. A chi fa qualsiasi altro lavoro credo non sembri affatto strano che il responsabile di un ufficio prima di assumere qualcuno voglia sapere chi va ad assumere, magari semplicemente svolgendo un breve colloquio. Nella scuola statale questo però non è mai avvenuto. Finora sia per gli incarichi a tempo indeterminato sia per le supplenze (annuali e temporanee) si è attinto scorrendo graduatorie sulla base delle posizioni utili.  Ricordo quando, ventitreenne fresco di laurea cum laude, orgoglioso che un paio di estratti della mia tesi fossero stati pubblicati su riviste accademiche, a fine agosto feci il giro delle scuole della mia città per lasciare ai presidi le domande di supplenza.  Qualcuno mi accoglieva cordialmente, qualcun altro trincerato nel suo ufficio era pressoché irraggiungibile (non aveva tempo da perdere con un aspirante supplente, bastava lasciare il modulo in segreteria). Poi fu il momento del preside Malvezzi, ed ero un po’ agitato, perché lo conoscevo di fama: oltre a dirigere la scuola più prestigiosa della città, era un celebre studioso di letteratura italiana (la mia stessa materia) ed era autore di importanti manuali adottati nelle scuole di mezz’Italia. Entrato in presidenza, il mio imbarazzo si sciolse presto quando vidi la sua sincera curiosità nei mei confronti: voleva sapere dove mi ero laureato, con chi avevo studiato, quale fosse il mio curriculum di studi. E poi parlammo di letteratura, mi chiese dei miei scrittori e dei miei libri preferiti. Forse senza darne l’impressione, mi stava sottoponendo a un piccolo esame. Dopo un’ora di dialogo, in cui probabilmente avevo mostrato sprazzi della mia preparazione e soprattutto il mio desiderio di insegnare, mi disse con franchezza: «Vede, dottore, io uno come lei lo vorrei subito per la prima supplenza disponibile. Eppure ogni volta che devo nominare un supplente mi tocca purtroppo chiamare il professor Tal dei tali, perché con la sua anzianità di servizio è il primo in graduatoria. Dico purtroppo perché conosce poco la materia, non sa spiegare, tratta male i ragazzi.  Io potrei richiedere l’intervento di un ispettore ministeriale, ma prima che arrivi e faccia la sua relazione, la supplenza probabilmente sarebbe già finita. E se convocassi lei prescindendo dalla graduatoria, Tal dei tali farebbe ricorso e lo vincerebbe».  Scusate l’aneddotica personale, ma era giusto per far capire certi perversi meccanismi della macchina burocratica. L’idea di responsabilizzare i presidi nella scelta del personale docente non mi sembra perciò così sbagliata: del resto ciò avviene già nella scuola paritaria, e non credo con cattivi risultati.  Mezzoretta di colloquio mi sembrerebbe il minimo, prima di affidare a qualcuno decine di bambini o adolescenti.  Certo, si tratta di capire bene in che modo ciò possa avvenire. E su questo i sindacati fanno bene a chiedere chiarezza. Ad esempio, non è dato sapere come si concilierebbe la posizione in graduatoria degli aspiranti docenti con il potere di scelta da parte dei dirigenti scolastici: potrebbero prescinderne totalmente?  Oppure si tratterebbe di bilanciare il punteggio di partenza con una dose di discrezionalità? Inoltre, si potrebbe temperare il potere monocratico del preside costituendo una commissione che preveda, accanto a lui, la presenza di un paio di docenti dello stesso istituto. Un’altra questione è quella relativa ai trasferimenti: se il passaggio del colloquio preliminare può essere sensato per i neoassunti, sarebbe strano che un insegnante – poniamo – con vent’anni di onorato servizio che per motivi personali o familiari decidesse di cambiare città o regione dovesse sottoporsi a un esame preventivo. Potrebbe bastare – è un’ipotesi – il nulla osta del dirigente della scuola di partenza, che varrebbe come referenza positiva per il suo collega della scuola di arrivo.  Correttivi e migliorie alle proposte sono sempre possibili, anzi utili, soprattutto in questa fase delicata dell’iter di legge, in cui il governo ha il dovere di ascoltare gli addetti ai lavori e, più in generale, la pubblica opinione. Bisogna evitare però che la paura del nuovo blocchi in partenza ogni tentativo di cambiare il sistema al fine di renderlo più efficiente.