Opinioni

Nuove tensioni. Periferie e campagne: sfida alle metropoli per sopravvivere

Massimo Calvi mercoledì 21 novembre 2018

Dalla scelta della nuova sede di Amazon che sta facendo discutere gli Stati Uniti alla rivolta dei "gilet gialli" in Francia, fino allo scontro italiano su infrastrutture come Tav, Tap o termovalorizzatori, l’attualità sta fornendo molti elementi per riflettere sulla dialettica tra città e territori periferici, tra metropoli e piccoli centri, tra la vita urbana e quella di chi abita più vicino alle campagne. Molti osservatori hanno giustamente notato come tanta parte di questo tipo di tensioni sia alla radice del nuovo conflitto tra il "popolo" e le "élite", la stessa dinamica che alimenta il populismo politico in Occidente.

Tuttavia la contrapposizione che emerge ha anche una dimensione geografica da non sottovalutare se si vogliono cercare risposte costruttive a questioni che non hanno un vero fondamento economico. Prendiamo il caso della nuova sede di Amazon negli Stati Uniti. Il colosso mondiale delle vendite online cercava da tempo un luogo dove collocare il suo secondo cuore pulsante, dopo Seattle, che si trova sulla costa Ovest. Molti speravano che Amazon raccogliesse l’offerta di un territorio o una città con ambizioni di rilancio, invece la scelta è caduta sui quartieri di due grandi e ricche metropoli della costa Est, New York e Washington.

La decisione ha riacceso il dibattito sulle due Americhe, quella dell’interno e quella della costa, l’America profonda e quella delle élite, il Paese che vota Trump e quello con simpatie democratiche. In realtà la scelta di Amazon, al di là della convenienza fiscale ed economica, ha privilegiato esattamente le due città degli Stati Uniti col più alto numero di talenti occupati in settori tecnologici, metropoli già capaci di attrarre le migliori risorse umane del mondo. L’investimento su questo tipo di futuro, essenzialmente legato al capitale umano, ci ricorda che oggi le grandi città, le megalopoli, sono le uniche aree nel mondo al di fuori dell’Africa in cui la popolazione cresce sia internamente che per attrazione.

I territori periferici, al contrario, spesso conoscono una dinamica demografica opposta: la popolazione invecchia e si contrae, i piccoli ospedali chiudono e vengono accorpati in strutture più lontane, ci sono meno bambini e le scuole si riducono, i piccoli negozi lasciano ancora più spazio alle grandi superfici commerciali, i servizi si diluiscono, anche il postino non passa più tutti i giorni. Se nelle metropoli il problema principale riguarda la vivibilità, con traffico e inquinamento in testa alle lamentele più ricorrenti, nelle campagne e nei territori periferici dei Paesi sviluppati il cahier de doléances ha una lista di questioni capovolta.

I "gilet gialli" che hanno paralizzato la Francia, portatori di quella rabbia che solo la Rete riesce a gonfiare a certi livelli, protestano contro l’aumento delle tasse sul diesel e contro il fisco in generale, ma soprattutto verso un modo di pensare la società e lo sviluppo che è percepito a misura delle sole metropoli. Il vero inquinamento dei "luoghi che non contano", come sono stati definiti, è la paura di diventare sempre più marginali perdendo, anche per effetto di una demografia negativa, i vantaggi di una migliore qualità della vita e di una maggiore libertà d’azione.

E in questo non c’è una grande differenza tra Usa, Francia e Italia. Le grandi città chiedono al Paese di investire in infrastrutture e tecnologia, hanno bisogno di treni ad alta velocità, termovalorizzatori, energia; i territori e le periferie sono i luoghi dove spesso tutto questo finisce per insistere senza ricadute significative in termini di nuove opportunità. Per fare un esempio estremo: le città vogliono più auto elettriche, ma le centrali per farle funzionare si trovano in "periferia", dove per spostarsi i mezzi pubblici non sono sempre una buona soluzione.

La contrapposizione tra campagna e città, o tra centro e periferie, non nasce oggi, tuttavia questa fase storica sta proponendo una polarizzazione preoccupante e che, oltre al conflitto rancoroso che manifesta, sembra trovare rappresentanza solo in una politica che cavalca la rabbia senza riuscire a fare vera sintesi dei bisogni delle comunità.

Eppure molti indicatori rivelano come in Italia non siano le grandi città i luoghi nei quali la qualità del vivere è percepita migliore. I centri minori e i territori marginali dovrebbero tentare, anche facendo sistema, di individuare risposte innovative e originali per essere sempre di più spazi vitali e generativi, rifuggendo scelte antistoriche e attrezzandosi per attirare le risorse umane che desiderano evadere da polveri sottili, strade congestionate e nuove aperture di antiche trattorie.