Opinioni

Ambiente. Perché «contare» le api serve al futuro della Terra

Gianluca Schinaia sabato 28 marzo 2015
Contare le nostre api, per proteggerle. E così salvaguardare la biodiversità, l’esistenza di numerose specie animali, la salubrità dell’alimentazione umana e il futuro delle prossime generazioni che abiteranno la Terra. La scomparsa delle api dovrebbe diventare un tema centrale dell’Expo di Milano che ha nel claim l’espressione "Feeding the Planet" (Nutrire il Pianeta): perché senza gli insetti impollinatori, dalla nostra tavola scomparirebbe un terzo del cibo che consumiamo attualmente e si estinguerebbero la maggior parte delle piante esistenti. Una minaccia globale che coinvolge la stessa sopravvivenza dell’uomo. Per questo l’Italia è diventata una delle avanguardie planetarie nella tutela degli insetti impollinatori più nobili e diffusi istituendo a inizio anno una specifica "Anagrafe delle api", iniziativa nata in collaborazione tra il ministero della Salute e quello delle Politiche agricole. Davvero si tratta di un problema così grave ed evidente? Sì, se si considera ad esempio un episodio di vita quotidiana raccontato da Maarten Bijleveld van Lexmond, biologo olandese: «Alla fine degli anni Novanta, tornando da un viaggio in macchina mi resi conto di un fatto strano: fino a qualche anno prima, facendo lo stesso tragitto, il parabrezza della mia automobile finiva pieno di insetti. Invece, quella volta, il mio parabrezza era praticamente pulito».
Infatti, oltre alle api, stanno scomparendo diverse specie di insetti, volatili e farfalle: tra il 1990 e il 2011 la popolazione di quest’ultime si è dimezzata in Europa. Ma davvero potremmo vivere un giorno in un mondo senza api? Nel Sichuan il lavoro non manca per gli "uomini impollinatori". In questa zona sudoccidentale della Cina, per circa 9 euro al giorno, ad aprile - periodo dell’impollinazione - migliaia di persone  sostituiscono le api trasportando il polline. Infatti, dagli anni Novanta, in questa regione le api sono praticamente scomparse. Un fenomeno incredibile, che ha un’estensione globale. In Francia, negli ultimi dieci anni, si sono registrati tassi annuali di mortalità dei principali insetti impollinatori superiori al 50%. Negli Usa, oggi si contano circa 1 milione e mezzo di arnie contro i 9 milioni degli anni Venti. E secondo l’Us National Research Council, nel 2035 le api potrebbero essere totalmente estinte negli States: intanto, già oggi i tre quarti del miele americano in commercio non proviene dalle api. Peggio va nel Regno Unito, dove i ricercatori prevedono che le arnie potrebbero scomparire del tutto entro il 2020: forse per questo il padiglione britannico di Expo 2015 è stato progettato come un grosso alveare sferico che produrrà il rumore di una vera e propria colonia, posizionato tra alberi da frutto e fiori selvatici.
Perché la scomparsa delle api significherebbe perdere componenti essenziali della nostra alimentazione come, ad esempio, mele, arance, cipolle, carote, broccoli, girasoli, fragole, meloni e pesche. Stessa sorte del cotone o dei mangimi d’allevamento come la soia e gli alfalfa. Perché le api stanno scomparendo? Gli scienziati hanno dato un nome al problema: "Sindrome dello spopolamento degli alveari" (Colony Collapse Disorder) che in generale si riferisce alla scomparsa delle api adulte nelle arnie, causata da una molteplicità di cause combinate. Ma è ormai plausibile che i principali responsabili siano i pesticidi usati in agricoltura. Altre ragioni rilevanti sono la malnutrizione degli insetti causata in gran parte dall’uso agricolo di elementi chimici così come dalle coltivazioni dei campi con Ogm. E quindi concorrono i cambiamenti climatici e, in minor parte, l’inquinamento elettromagnetico. Greenpeace ha elaborato report specifici sul problema, pubblicati sul sito www.salviamoleapi.org: «Sugli altri fattori si può lavorare poco visto che si tratta di macrotemi, mentre sui pesticidi si può e si deve intervenire», spiega ad Avvenire Federica Ferrario, responsabile della campagna agricoltura sostenibile di Greenpeace. La responsabilità dei pesticidi è stata anche avvalorata dalla Task Force on Systemic Pesticides, team indipendente di esperti affiliato all’Unione mondiale per la Conservazione della Natura (IUCN), una delle principali autorità mondiali sull’ambiente. Tra i pesticidi, i principali responsabili della scomparsa delle api contengono sostanze chimiche chiamate neonicotinoidi: per questo, la Commissione europea nel 2013 ha messo al bando per due anni i pesticidi che hanno certi principi attivi. E per una volta l’Italia è arrivata prima degli altri, sospendendo già nel 2008 questi antiparassitari per tre anni.
«Grazie a Bee Net (rete di monitoraggio istituita su iniziativa ministeriale, ndr) abbiamo raccolto dei dati che nel 2008 mostravano un picco della sparizione: in quell’anno abbiamo perso il 40% della popolazione di api», spiega ad Avvenire Diego Pagani, presidente di Conapi (Consorzio Nazionale Apicoltori italiani). C’è infatti una grande carenza di dati - a livello mondiale - sul numero di arnie. Per questo l’anagrafe delle api è una scelta decisiva: «Più informazioni abbiamo meglio è. Le api ci permettono anche un importante bio-monitoraggio, grazie al polline che mostra gli elementi di contaminazione dell’ambiente», riprende la Ferrario. «Nel 2008 - racconta Pagani - una delle cause principali della moria è stata la concia del seme del mais con neonicotinoidi. Dopodiché l’Efsa (Autorità europea di sicurezza alimentare, ndr) ha confermato la tossicità dei neonicotinoidi. Pensiamo ad un dato importante: solo il 5% del pesticida dato alla pianta ha una reale efficacia. Il restante 95% va a finire nell’ambiente. E nelle nostre falde acquifere». Nel frattempo, aziende come la Bayer hanno tentato di sospendere il bando italiano rivolgendosi al Tar: ma hanno perso. Ora il colosso dell’agrochimica e la Syngenta hanno fatto ricorso contro il bando della Commissione europea davanti alla Corte di Giustizia UE.
In ogni caso, la scomparsa delle api è una minaccia globale. Bisogna sottolineare che questo fenomeno nei Paesi in Via di Sviluppo implicherebbe una probabile catastrofe sociale. Secondo l’Università di Harvard, se si perdessero le api in Zambia, Mozambique, Uganda e Bangladesh nel prossimo futuro la metà di queste popolazioni non avrebbe di che sfamarsi. «Se le api scomparissero dalla Terra, per l’uomo non resterebbero che 4 anni di vita»: questa frase, erroneamente attribuita ad Albert Einstein, «è in realtà di un apicoltore francese, ma resta drammaticamente plausibile – conclude Pagani – io preferisco quest’altra di Gandhi: "Prima ti ignorano, poi ti deridono, poi ti combattono. E alla fine vinci"». Anche per questo, il Conapi ha avviato Bee Active, campagna di sensibilizzazione per diffondere buone pratiche individuali utili a salvaguardare le api. L’Expo, se avrà il coraggio di superare gli interessi dell’industria agrochimica, potrà diventare un’opportunità per affrontare il problema: sembrerà una frase fatta, ma questa volta c’è davvero in gioco il nostro futuro.