Opinioni

Perché è giusto fermare le onde di odio ma sui criteri non si può essere ambigui

Marco Tarquinio giovedì 19 settembre 2019

Gentile direttore,
qualche giorno fa ho iniziato con soddisfazione la lettura dell’articolo di 'Avvenire' dedicato alla decisione di Facebook e Instagram di oscurare i profili di Casapound e Forza Nuova, in quanto «odiatori ». Soddisfazione, perché credo che, laddove le legislazioni nazionali fanno fatica a essere applicate per garantire il rispetto tra le persone, sia bene che i proprietari dei social si assumano le proprie responsabilità nel non prestarsi alla diffusione di messaggi contenenti insulti o tutto quello che va contro le regole di pacifica convivenza, il rispetto delle persone e delle loro convinzioni. Poi, purtroppo, ho letto la conclusione del commento di Gigio Rancilio, che qui riporto, e che mi ha lasciato interdetto: «Benissimo. Ma se la prima parte della frase è chiara ('non trova posto chi diffonde odio'), la seconda è un po’ sibillina ('e chi attacca gli altri sulla base di chi sono'). Così sibillina da potere essere paradossalmente usata un giorno anche per bloccare voci scomode, comprese alcune che gravitano attorno al mondo cattolico». Che significa? Per fare un esempio, io, padre di quattro figli, sono un cattolico 'aperturista' nei confronti degli omosessuali e delle coppie che eventualmente intendano costituire. Tra l’altro, ho amici genitori cattolici di figli omosessuali che hanno costituito un gruppo, che si è riunito anche in com- pagnia del vescovo. Chiunque può esprimere liberamente il proprio giudizio su queste situazione, come ho fatto qui io, giudizio che può anche essere negativo. Premesso che la parola giudizio non gode di buona fama nel Vangelo. Chi però attaccasse un omosessuale in quanto tale, perché è fatto così, non deve godere di nessuna protezione, quali che siano le sue motivazioni. Ho un caro amico che, per ragioni tutte sue, ha deciso di farsi 'sentinella' o qualcosa del genere, che vede gli omosessuali come fumo negli occhi, ma personalmente lui lo fa in modo non aggressivo, dunque legittimo, del resto è cresciuto nell’Azione Cattolica e non negli stadi. Nel suo profilo Facebook ha ritenuto però di rimbalzare ingiurie e persino minacce con cui altri presunti cattolici, anzi cattolici più di me, a loro volta ritengono di bersagliare chi è diverso da noi. Giustamente questo amico, che resta tale, sta subendo da parte degli amici un ostracismo social: eviti per favore di far da sponda a questa gente, che è giusto oscurare. Noi lo facciamo nel nostro piccolo, se Facebook lo fa in grande fa solo che bene. Poi questi pensino che sia un complotto… sionista, se sono contenti così, basta che non avvelenino la vita degli altri con le scemenze di cui si nutrono. Grazie e buon lavoro.

Giuseppe Iotti Parma

Come lei certo sa, gentile signor Iotti, 'Avvenire', noi non abbiamo mai fatto sponda a chi ingiuria e a chi perseguita e a chi discrimina e mai la faremo. E quando dico noi non uso il plurale maiestatis , ma intendo noi di 'Avvenire', da Gigio Rancilio al sottoscritto. Proprio per questo, non poche volte in questi tempi strani e incattiviti, siamo bersaglio di attacchi e veniamo fatti oggetto di caricature anche feroci da parte di «odiatori » e di loro fogli e siti di riferimento. Il problema, per quanto mi riguarda, è ovviamente solo loro, visto che considero simili aggressioni parolaie... medaglie. Detto questo, però, è giusto e necessario richiamare e spiegare la motivata preoccupazione che il collega Rancilio ha fatto risuonare tra il 9 e 10 settembre scorsi sul nostro sito internet e sul nostro giornale. Non è la prima volta che ne scriviamo e che la spieghiamo. Essa è generata da una speculare e opposta tendenza che si è registrata in questi anni – a spese di altri, e non nostre – anche su Facebook e che porta a deliberatamente confondere ragionamenti e critiche assolutamente civili per argomentazioni e modi con invettive e insulti. È l’attitudine, tanto per fare un esempio scottante, a bollare come 'omofobi' e 'intolleranti' interventi contrari alla pratica dell’'utero in affitto' per mettere al mondo figli (che non è 'esclusiva gay', anzi, visto che a essa fanno ricorso più persone eterosessuali che omosessuali). Tale pratica, come anche lei sa bene, è purtroppo e regolata e legittimata in certi Paesi, proprio come lo furono in passato la schiavitù e altre forme di asservimento delle persone, e soprattutto delle donne. Ecco: per qualcuno, un paragone come quello che ho appena fatto sarebbe da condannare. Beh, questo è semplicemente inaccettabile. Certamente, l’impegno a porre saldi argini capaci di fermare ondate di odio è non solo auspicabile, ma necessario. Restiamo convinti che l’educazione resti la via maestra, e per questo oltre a tener caro uno stile che ci caratterizza da sempre abbiamo promosso nel 2014 con «Famiglia Cristiana» e la Federazione dei settimanali cattolici la campagna 'Anche le parole possono uccidere' e dal 2016 sosteniamo l’iniziativa 'Parole O_stili', ma ci rendiamo conto che interventi urgenti e forti possono rendersi indispensabili. I criteri, però, devono essere chiari, mai vaghi e ambigui. E «chi attacca gli altri sulla base di chi sono» è formula ampia, potenzialmente positiva, ma di notevole vaghezza e, a nostro parere, di conseguente ambiguità. Arrivo così a un’ultima riflessione. Vorrei che sulla libertà di espressione di tutti vigilasse, esercitando un prezioso e delicato potere-dovere, non un qualche comitato o giurì privato investito da un consiglio di amministrazione, ma sempre e solo un organo di garanzia al di sopra delle parti che sia, a sua volta, espressione della res publica di cui siamo parte in quanto cittadini e membri di quell’umanità che nel secolo scorso ha saputo darsi – pur, ahinoi, ancora non interiorizzandole pienamente – splendide e impegnative Carte dei diritti e dei doveri dell’uomo e della donna. Spero che sapremo arrivare a questo.