Opinioni

Il direttore risponde. «Perché Dio si è accanito contro di me?» Le domande del dolore sono preghiera

Marco Tarquinio giovedì 30 luglio 2015
Caro direttore, sono un uomo di 65 anni, invalido civile con accompagnamento da quando avevo 19-20 anni. Frequentavo il Ginnasio al “Casanova” a Napoli, città dove sono nato, quando cominciarono i primi segnali della malattia, che mi ha “accompagnato” fino ad ora. Una sofferenza per i miei genitori, babbo Aldo e mamma Teresa, che non ci sono più. Gli specialisti diagnosticarono che la mia malattia si chiama schizofrenia, cioè la più grave delle malattie mentali. Mi domando perché Dio si è accanito contro di me? Cosa ho fatto io per meritarmi questa mazzata? Sono stato ricoverato in molte strutture della Campania, ma anche oltre. I giorni, sempre gli stessi, passano lentamente, come lentamente sento che la morte si sta avvicinando. Mi fa ancora compagnia “Avvenire”, ma anche “Famiglia Cristiana” e “Il mio Papa”. E ringrazio mia sorella che mi porta queste pubblicazioni. Filomeno G. Sono felice, gentile e caro signor Filomeno, che anche “Avvenire” le faccia compagnia nelle sue giornate e lungo il suo duro cammino. E sono contento di sapere che è seguito da sua sorella e ospite di strutture che hanno cura di lei. Lei scandisce le domande che, da sempre, ci inquietano e ci inchiodano alla soglia del mistero. Per noi che crediamo nel Dio-Amore che ci si è compiutamente rivelato in Gesù Cristo non c’è mistero più fitto del dolore innocente. La risposta di Dio, papa Francesco ce l’ha ricordato più volte, anche unendo le sue lacrime a quelle di chi gli poneva la questione, è Dio stesso, è Gesù vero Dio e vero Uomo, che ha caricato su di sé, per sempre, «tutto questo male, tutta questa sofferenza». Eppure, dice ancora il Papa, non dobbiamo stancarci di chiedere «perché», tutti i «perché» generati dal dolore, che ci assediano e che sono già preghiera. Questo solo mi sento di dirle, caro amico. Non voglio però rinunciare a ricordarle ciò che con l’apostolo Paolo ripeto spesso a me stesso, non per consolazione ma per sprone: «Quando verrà ciò che è perfetto, quello che è imperfetto scomparirà. (…) Ora vediamo come in uno specchio, in maniera confusa, ma allora vedremo faccia a faccia». È più di una promessa.