Opinioni

Riflessione. Perché alcune donne si dimettono e cosa devono imparare gli uomini

Mariolina Ceriotti Migliarese giovedì 2 marzo 2023

Le donne se ne vanno dalla Silicon Valley. Si continua a ragionare su questa notizia: Susan Wojcicki, 54 anni, cinque figli, lascia il prestigioso incarico di ammini-stratrice delegata di YouTube per motivi personali. Come lei, negli ultimi anni diverse altre donne ai vertici della carriera hanno “lasciato”: Meg Whitman, Sheryl Sandberg, Marissa Mayer, Anne-Marie Slaughter, tutte con incarichi prestigiosi e di rilievo. Nel mondo politico, prima della rinuncia della premier scozzese Nicola Sturgeon, hanno fatto scalpore – qui ne ha scritto Antonella Mariani – le dimissioni della giovane premier neozelandese Jacinta Ardern, che a soli 42 anni ha lasciato un incarico prestigioso dichiarando di non cercare la rielezione: «Credo che guidare un Paese sia il lavoro più privilegiato che si possa avere, ma anche uno dei più impegnativi. Non si può e non si deve fare se non si ha il serbatoio pieno…», ha dichiarato, aggiungendo che la sua attuale priorità sarà quella di dedicarsi ai suoi affetti, la figlia e il compagno.

Vale la pena di tornare a riflettere su tutto questo. Si tratta di un fallimento nella capacità delle donne di mantenere una posizione di leadership? Si tratta di una loro perniciosa tendenza a mettere gli affetti prima della carriera? Sembra che sempre più donne lascino posizioni di potere, dopo averle conquistate con caparbietà e determinazione, mostrando intelligenza e carattere pari, se non superiori, a quelle degli uomini. Perché? In questa domanda confluiscono aspetti tra loro diversi, ma la prima, fondamentale questione mi sembra questa: cosa desiderano davvero le donne? Quali modelli perseguono? S e guardiamo al variegato universo femminile, nel mondo occidentale i modelli appaiono quanto mai contraddittori. Da un lato ci sono le ancora troppo poche donne leader; sono manager, politiche, scienziate, che spesso appaiono però come super-donne. Alto livello di studi, volontà di ferro, capacità organizzative inarrivabili; talvolta per fare carriera hanno rinunciato a diventare madri; altre volte hanno figli, ma sembrano avere avuto la fortuna del supporto di mezzi economici importanti. Dietro di loro, schiere di giovani professioniste si battono per ottenere spazio in uno studio legale, ai piani alti di una banca, nelle società di consulenza. Spesso fanno orari improponibili, rinunciano a fare famiglia, aspettano la loro occasione; sono intelligenti e capaci, ma devono continuare a dimostrarlo. D all’altro lato, le donne che fanno da modello appartengono al mondo dell’apparire: sono attrici, influencer, cantanti; sembrano più facili da emulare, ma la strada per ottenere il loro successo è incerta, a volte casuale. Per loro lo strumento è il corpo con la sua bellezza, che finisce per diventare una sorta di schiavitù. Mi viene in mente a questo proposito Chiara Ferragni, che al Festival di Sanremo ha scritto sullo scialle indossato nella prima serata lo slogan «sèntiti libera», e si è presentata poi in modo provocatorio con un abito che la faceva apparire nuda. Ha parlato delle sue insicurezze di bambina, della vergogna che si è sentita indotta a provare per il proprio corpo, del non sentirsi mai abbastanza brava, intelligente o bella. Si è chiesta perché una donna viene fatta sentire in colpa quando lavora e sta lontana dai suoi figli, mentre all’uomo questo non accade, e ha parlato con tenerezza e fierezza della propria maternità. Ha affermato quasi gridando: « Essere donna non è un limite!». Ma questa non dovrebbe essere un’ovvietà, superata ormai da tutte le battaglie femministe?

Eppure, il monologo ha ottenuto il consenso di molte ragazze, e questo ci dice che malgrado i progressi ottenuti nella parità con l’uomo, nel mondo occidentale le giovani donne si sentono oggi ancora più insicure e scontente di quelle della mia generazione. Appaiono più fragili, più reattive, ma anche più arrabbiate, e spesso ostili verso il mondo maschile. C’è una rabbia dolorosa in queste ragazze, che cercano disperatamente di essere viste nel loro valore, che oscillano tra l’ostentare in modo provocatorio il corpo e il negarne l’esistenza sessuata, che cercano di sopprimere il desiderio di essere amate con tenerezza perché mostrare questo desiderio le fa sentire vulnerabili. Che non sanno chi vogliono essere e cosa possono aspettarsi dal maschile e che non stanno bene con sé stesse. Le giovani donne di oggi vivono più che mai quella che una mia paziente diciassettenne ha definito come la «rabbia femminile », aggiungendo: « È una cosa che c’è molto nella mia generazione; io la chiamo l’eredità del dolore, che passa di madre in figlia. Se sei donna devi fare le cose in un certo modo… Questo devi è davvero insopportabile ».

Ma cosa possono avere in comune la storia di Susan Wojcicki e di Jacinta Ardern con il grido di Chiara Ferragni? Sono storie e personalità tra loro molto diverse, con carriere diverse e vite diverse, ma in tutte si può intuire lo stesso desiderio, quello che venga loro riconosciuto un valore “a prescindere”: il valore specifico della propria identità femminile. La donna desidera “essere tutto”; non si accontenta di avere una carriera, e non si accontenta di avere una famiglia; non si adatta facilmente all’alternativa tra essere madre o realizzarsi nel suo lavoro. Anche se forse non lo sappiamo ancora, anche se forse non riusciamo a dircelo con chiarezza, noi vogliamo tutte queste cose insieme, vogliamo trovare il modo per fare stare insieme le diverse pa rti di noi. Vogliamo esprimere pienamente «l’erotico e il materno», come ho scritto in un mio libro di alcuni anni fa. E desideriamo essere certe del rispetto e della solidarietà dell’uomo: vogliamo che sappia leggere la nostra differenza non all’insegna di una non meglio definita mancanza, ma all’insegna dell’alleanza piena tra persone intere e di pari valore.

Tutto questo però può diventare possibile solo riconoscendo che la differenza tra noi esiste e rappresenta un punto di forza, in gran parte ancora da scoprire; confondere la differenza con la disuguaglianza ha portato invece la nostra società ad appiattirsi su una indifferenziazione che ostacola lo sviluppo di buone identità ed è fonte di sofferenza per tutti, sia uomini sia donne. Il benessere delle donne non passa dalla battaglia per essere libere di mostrare il seno al modo dei maschi, né dall’esercitare il potere secondo uno stile maschile. Non si tratta di scimmiottare gli uomini, di vivere il sesso a modo loro, di rinunciare alla maternità o alla cura dei propri bambini per una carriera folgorante. Si tratta invece di iniziare una strada che accompagni tutti, uomini e donne insieme, alla libertà di scegliere ciascuno la propria strada, secondo la propria natura, secondo il proprio vero desiderio, che nell’uomo e nella donna seguono quasi sempre tempi e modi diversi. Una strada in cui affetti e professione non si contrappongano necessariamente.

Non è vero che le donne fuggono le posizioni di comando perché preferiscono occuparsi del mondo degli affetti. Chi ha studiato a fondo lo stile di leadership femminile, afferma che le donne non hanno paura del potere, ma caso mai un modo diverso di concepirlo; un modo che vede nell’esercizio del potere soprattutto un servizio nei confronti della comunità. Per questo tendono a essere meno gerarchiche degli uomini, più interessate al lavoro di squadra, più propense a lavorare in rete, meno legate dell’uomo a mantenere a tutti i costi posizioni di potere. Per questo possono anche scegliere liberamente di lasciarlo, quando impedisce loro di vivere altre parti di sé.

Oggi le donne, soprattutto le più giovani, avvertono più che mai un senso di malessere esistenziale e di smarrimento, perché i messaggi e le suggestioni che arrivano dalla realtà indicano piste contraddittorie e confuse, impedendo loro di ascoltare e comprendere ciò che davvero desiderano. Io credo che il nostro vero desiderio sia soprattutto quello di avere finalmente la possibilità di scegliere come impostare la vita senza la pressione di dover dimostrare al mondo il nostro valore; e di avere in questo l’alleanza degli uomini che ci vogliono bene, e per i quali desideriamo la stessa libertà.