Opinioni

Il mandato ai sacerdoti, il segno per tutti. Per rimetterci in piedi

Maurizio Patriciello martedì 22 novembre 2016

Al centro della storia e della Chiesa c’è Gesù, che, come un mendicante, se ne sta alla porta di ogni cuore e bussa. Paziente, discreto, rispettoso, attende che l’amato gli apra uno spiraglio del suo cuore. Tanto gli basta per tenergli compagnia senza dover forzare la sua libertà. Viene, il Signore, e mette la sua vita nelle nostre mani. Corre l’Amante in cerca dell’amato, gli dona tutto. E gli chiede di fare la stessa cosa. Papa Francesco l’ha incontrato. Se n’è perdutamente innamorato. E lo imita. Come lui si fa mendicante. Paziente, continua a bussare alla porta di ogni cuore, anche di quelli che sembrano più distanti e distratti. La lettera apostolica Misericordia et misera pubblicata ieri è un dono. Fresco come l’acqua di sorgente. Un ulteriore dono di questo Anno benedetto appena concluso. «Termina il Giubileo e si chiude la Porta Santa. Ma la porta della misericordia del nostro cuore rimane sempre spalancata», si preoccupa di ricordarci il Papa. Dio nessuno lo ha mai visto. Gesù ci ha detto chi è, cosa ci chiede, cosa ci vuole dare, dove ci vuole portare.

Ce lo ha rivelato soprattutto sul Calvario. Abbiamo bisogno della croce. Gesù risorto ci mostra un Dio vittorioso, potente: la croce invece ci presenta un Dio povero, umile, indifeso. Come noi. Un Dio tradito. Da noi. Un Dio terribilmente solo, umiliato, abbandonato. Come sovente ci sentiamo noi. Abbiamo bisogno della croce più di quanto possiamo credere. Contemplando l’Uomo crocifisso capisco qual è la misura della misericordia. Perché, Signore? Perché lo hai fatto? Era veramente indispensabile la croce? E limpida mi giunge la Sua voce: «Per amore. Solo per amore». Indaga, scava, leggi, rifletti, prega e ti accorgi che un’altra motivazione non la trovi.

Non può esserci. Dio ha voluto condividere con gli uomini la sua divinità. Non gli è bastato donare all’uomo le cose, la volontà, l’intelligenza, la vita. Troppo poco. Ha voluto dargli tutto. E si è consegnato nelle sue mani. Solo chi ama capisce. Perché chi ama veramente sente il bisogno di dare, dona tutto. Dona se stesso. E siamo diventati la casa di Dio. «Siamo tutti figli di Dio», ci ripete Francesco. E ai figli si perdona tutto. No, non è Vangelo a buon mercato. Non è uno «svendere la dottrina». È scavare a fondo, e accorgersi che l’abisso dell’Amore arriva all’infinito.

Il Papa ci invita a riflettere sull’episodio della donna che sta per essere lapidata. È terribile vedere la morte che si avvicina, scorgere l’odio negli occhi degli aguzzini che si fanno giudici implacabili. È meraviglioso essere avvicinati, presi per mano, sentirsi perdonati da qualcuno. Gesù non la giudica, la rimette in piedi. Rimettimi in piedi, Signore, quando barcollo e cado. Quando smarrisco la strada fammi luce. Ricordo Titina, una donna di grande fede. Francesco, suo figlio, in preda a una forte sofferenza disse addio alla vita. Titina soffriva per il figlio, ma ancora di più perché temeva per la sua sorte eterna. Me lo confidò. All’omelia le chiesi: «Titina, vuoi bene al tuo Francesco? E pensi che il Padre onnipotente e misericordioso non gli voglia bene almeno quanto te? Non aver paura di Dio. Consegniamo Francesco nelle sue mani».

Dio dimentica l’offesa nel momento stesso dell’offesa. E il Papa chiede a noi sacerdoti di essere segno della sua misericordia, soprattutto nella confessione. Per questo ora ci dona la possibilità permanente di rimettere il peccato dell’aborto. Ribadisce Francesco la consapevolezza che «l’aborto è un peccato grave che pone fine a una vita innocente». Ancora una volta, chiarezza di dottrina e amore verso il peccatore. Perdonaci, Signore, quando non siamo stati misericordiosi nel sacramento della confessione. Quando abbiamo incrociato le braccia invece di gettarle al collo del penitente. Dio è sempre in cerca di una giustificazione.

È sempre pronto per ricominciare daccapo. Il grande problema dell’umanità è che tanti, pur dicendosi figli di Dio, non si riconoscono fratelli. No, i figli non hanno scelta: sono fratelli. Lo sono per diritto e anche per dovere. E beati noi se metteremo in pratica questa stupenda verità. Nessuno è estraneo a nessuno. Nessuno ha il diritto di rinchiudersi in un castello dorato, fosse anche con il rosario in mano e le ginocchia genuflesse. Se preghi, se hai fatto del Vangelo il faro della tua vita, devi ascoltare Gesù che dice: «Siate misericordiosi come il Padre vostro».

Non possiamo mai dire di amare Dio se non esercitiamo la misericordia, anche con forme da inventare. Ha infatti detto il Papa che «è il momento di dare spazio alla fantasia della misericordia per dare vita a tante nuove opere, frutto della grazia». Non sempre è facile, è vero. Gli uomini non sempre sono amabili, non sempre mostrano il meglio di se stessi. Lo sappiamo tutti. E prima di noi lo sapeva Gesù quando ci ha chiesto di perdonare «settanta volte sette», per non rassegnarci al male, e gridare al mondo che l’unica verità è l’amore. «Siamo chiamati a far crescere una cultura della misericordia», continua il Papa. Incominciamo noi. Incominciamo adesso. Facciamolo insieme. Il Signore ci faccia dono di essere benedetti da ogni persona che incontriamo sul nostro cammino perché si è sentita accolta e compresa. Aiutata, amata. E invitata alla conversione.