Opinioni

Servire la verità, conformarsi a Cristo. Per offrire il fuoco

Massimo Camisasca venerdì 6 aprile 2012
Per il Papa la Messa di ieri mattina è stata l’occasione di parlare a tutti i preti del mondo e di rivelare loro ciò che più occupa il suo cuore e la sua mente in questo momento. Benedetto XVI nella Basilica Vaticana ha pronunciato parole piene di accoramento, ma non disperate. Parole che leggono il presente anche difficile e drammatico della Chiesa, e che indicano le strade della fedeltà e del rinnovamento. In realtà la via è una sola: rivivere in modo autentico la propria conformazione a Cristo. Affinché queste parole non suonino generiche, Benedetto XVI ha voluto legarle al momento che vive attualmente la comunità ecclesiale. Conformarci a Cristo vuol dire innanzitutto entrare nella sua obbedienza, nell’obbedienza che lui ha vissuto e vive nei confronti del Padre, che Lo ha portato a incarnarsi, a patire, morire e risorgere. Obbedienza che continua nella vita della Chiesa come comunione con Pietro e i successori degli apostoli uniti a lui.Soprattutto negli ultimi tre secoli si è vissuta in Europa, e più in generale in tutto il mondo, un’ondata di contestazione al principio di obbedienza e di autorità. Reazione comprensibile di fronte all’autoritarismo e al clericalismo di tanti ambienti civili ed ecclesiali. Ma entrare nell’obbedienza non vuol dire cancellare la ragione, distruggere i sentimenti, annientare la propria umanità. All’opposto, quando l’autorità si coniuga con l’autorevolezza, quando chi comanda è anche padre, comprendiamo più facilmente che siamo creature, che dobbiamo ad altri la vita, che vivere è aderire a qualcosa che ci precede. La verità non è una nostra creazione. La realtà ci viene incontro come qualcosa che dobbiamo saper accogliere. La democrazia è un frutto buono delle lotte dell’età moderna, ma la verità non è un frutto della maggioranza. Questa è stata la grande confusione, vissuta anche nella Chiesa, negli ultimi sessant’anni. Occorrono autorità paterne, ma chiaramente illuminate dalla verità che è Cristo e non il proprio pensiero e sentimento individuale, anche se questo dovesse costare il martirio.Il Papa ha poi parlato del rinnovamento della Chiesa che è avvenuto dal Concilio Vaticano II in poi, ad opera di coloro che non hanno difeso l’immobilismo, che non hanno scelto la strada del tradizionalismo, ma che si sono lasciati ricolmare dallo Spirito Santo, che li ha guidati sul cammino di un’obbedienza radicale, di un amore forte e di una speranza piena di gioia. È possibile obbedire a Dio obbedendo a degli uomini. Sono i santi, che il Papa ha chiamato «traduzione dello stile di vita di Cristo». Guardando la propria indegnità, molti ecclesiastici hanno avuto paura di chiedere obbedienza e così si è persa per molti la possibilità di seguire Gesù. ​Il Papa ha poi parlato dell’«analfabetismo religioso». È il frutto del relativismo. Se tutte le fedi si eguagliano che importanza può avere insegnare gli elementi fondamentali e affascinanti della nostra fede? Così i nostri ragazzi se entrano in una chiesa o anche semplicemente in un museo non riconoscono più i fatti e i protagonisti della storia sacra. Non sanno più cosa Dio ha detto all’uomo e questo dopo un Concilio che ha giustamente esaltato la Sacra Scrittura. Dobbiamo tornare al Concilio e al Catechismo della Chiesa, dobbiamo tornare alla bellezza della storia sacra e delle parole e dei fatti che Dio ha detto per noi. Le nostre opinioni private, anche se pronunciate dal pulpito, non riscalderanno nessun cuore, non interesseranno alcuna mente. Soltanto se saremo eco fedele della parola di Gesù aiuteremo gli uomini a camminare nella difficile esistenza quotidiana. Da ultimo il Papa ha esortato i preti a parlare ancora dell’«anima». Non certamente per difendere la divisione ellenistica tra spirito e corpo. Egli sa benissimo che l’uomo è uno, ma sa anche che nell’unità della persona brilla una luce che tiene unite tutte le sue parti e che è il luogo stesso del dialogo dell’uomo con l’eterno e la profezia dell’immortalità personale. Vescovi e preti sono chiamati a diradare con più forza e con più verità il buio degli uomini, che saranno così più riconoscenti a Dio e più desiderosi di aderire al fascino del fuoco che Egli offre.