Opinioni

Per non cedere a odio e morte. Lampedusa 2013: memoria e atti nuovi

Paolo Lambruschi giovedì 3 ottobre 2019

Non è giusto dimenticare la tragedia del 3 ottobre 2013 nelle acque di Lampedusa, una delle più atroci del Mediterraneo, punto di svolta nella consapevolezza di un dramma che troppi oggi cercano di nascondere, minimizzare, negare. Non si possono lasciar scivolare nell’oblio 368 morti, la lunga e straziante teoria delle bare e lo choc della distesa di quelle più piccole, dei bambini, allineate nell’hangar dell’aeroporto. Non è possibile scordare le storie dei sopravvissuti, poi accolti in tutta Europa quando ancora si "ricollocava" e c’era più solidarietà tra Stati.

La tragedia di Lampedusa, in Italia, viene ricordata dal 2016 con una Giornata della memoria. Scelta molto opportuna in questo tempo di confusione e disinformazione, con una pubblica opinione travolta da una montagna di bufale xenofobe e dall’odio riversato in rete. Ma più che mai opportuna è l’iniziativa europea Snapshotsfromtheborders (Istantanee dai confini) di cui è capofila il Comune di Lampedusa, e che è rappresentata in Italia dall’ong Amref, che intende con una petizione celebrare il 3 ottobre come Giornata europea della memoria e dell’accoglienza. Serve proprio questa Giornata, e per diverse ragioni.

Anzitutto perché Lampedusa, quella accogliente e umana del medico Pietro Bartolo narrata in "Fuocoammare", quella della gente generosa che il 3 ottobre di sei anni fa accolse in casa i naufraghi e seppe mantenere con loro rapporti divenuti di figliolanza e fratellanza e quella che ancora sopporta il peso di un’accoglienza spesso superiore alle forze dell’isola, ha molto da insegnare all’Europa. Di cui è la porta, come ricorda il monumento di Palladino che in pochi anni ne è diventato il simbolo e una cui riproduzione oggi, nell’ambito delle iniziative di Snapshot, sarà esposta a Vienna e Berlino, nel cuore dell’Unione.

E poi, seconda ragione, perché anche l’Europa si è incattivita. Cecilia Malmström, allora commissario europeo per gli Affari interni sollecitò dopo la strage i Paesi della Ue a incrementare le attività di ricerca nel Mediterraneo con pattuglie di soccorso e intervento per intercettare e soccorrere i barconi e i gommoni di profughi e migranti attraverso l’agenzia Frontex. Sappiamo come è andata. Dopo il 2015 e la crisi siriana le porte si sono chiuse e la solidarietà nell’Unione è venuta meno. Alcuni governi hanno preferito rischiare di trasformare il Sud dell’Europa in un gigantesco "campo profughi".

Ed è proprio da Frontex che sono partite due anni dopo le prime, velenose e false accuse alle organizzazioni non governative di complicità con i trafficanti di esseri umani. Quelle Ong che erano in azione nel Mediterraneo dal 2014 perché Roma aveva chiuso l’operazione "Mare Nostrum" e le navi della Marine militari europee non effettuavano più salvataggi. Usando quelle accuse infondate, il mondo delle bufale e dei bufalari in rete scatenò una campagna di disinformazione senza precedenti contro gli «umanitari», e tutti i «buonisti».

Oggi tutte le accuse sono state archiviate dalle Procure italiane dopo mesi di indagini, ma nessuno si è scusato. Il fango ha fatto danni, e in tutta la Ue ha influenzato diverse campagne elettorali. Il no alla redistribuzione dei richiedenti asilo, i muri che si volevano ergere tra Stati e i porti da chiudere sono stati la bomba "sovranista" armata, fino alle scorse elezioni europee di maggio, sotto allo stesso edificio dell’Unione minato dagli egoismi nazionalisti. Oggi, dopo il cambio di maggioranza di governo a Roma e dopo tanti vertici falliti e polemiche sterili e autolesioniste, la Ue sembra aver ritrovato un minimo di collaborazione sulla redistribuzione dei profughi salvati in mare e il Parlamento europeo ha messo di nuovo in agenda la revisione del regolamento Dublino che ancora inchioda i profughi nei Paesi di primo sbarco.

Partecipando a questo processo, dopo 14 mesi di assenza e boicottaggio, l’Italia e i suoi rappresentanti faranno finalmente un passo avanti. Poi occorrerà guardare tutti insieme all’Africa e alle cause che muovono i flussi, destinati a proseguire inesorabilmente prima di tutto (come già oggi) dentro il continente e quindi verso l’Europa. Un processo politico complicato, ma è giusto avviarlo a partire da un atto di omaggio e di consapevolezza. Onorando la memoria delle vittime del 3 ottobre in tutta la Ue, come chiede la petizione.

E rilanciando oggi la proposta di creare, in collaborazione con alcuni Paesi d’Africa già in campo, i 'corridoi umanitari europei' per svuotare le galere libiche dove migliaia di persone sono rinchiuse, stuprate, torturate e depredate dai miliziani 'pagati' dalla stessa Ue nell’indifferenza di larga parte dell’opinione pubblica e dei governi. I 'corridoi' sono infatti l’alternativa più sicura e legale, almeno per i soggetti vulnerabili, a tragedie come quella di Lampedusa. E comportano una accoglienza altrettanto sicura e umana sui territori. Come quella che avvenne in tutta la Ue dopo il 3 ottobre 2013, quando l’Europa seppe essere fedele alla sue stessa civiltà e ai valori fondativi dell’Unione.