Opinioni

Il 20° Congresso. Per il Partito comunista cinese la vera sfida è la stabilità interna

Pio d'Emilia sabato 15 ottobre 2022

Uno striscione di protesa su un ponte di Pechino viene rimosso dalle autorità

Domani si apre il 20° Congresso del Partito comunista cinese. Ma nonostante tutto sia già deciso – probabilmente già dallo scorso agosto, in occasione del conclave estivo che vede ogni anno riunirsi tra le esclusive spiagge di Beideiha i membri del Politburo – è la prima volta, da quando il Congresso del partito più longevo e potente del mondo (ha appena compiuto cent’anni) si riunisce regolarmente ogni 5 anni, e cioè dal 1977, dopo la morte di Mao, che nulla è sinora trapelato. E non parliamo delle voci, dei presunti “scoop”, dei timori e delle speranze che hanno abbondato e continuano ad abbondare sui media occidentali (l’ultimo, un paio di settimane fa, parlava di un colpo di stato militare e del presidente Xi Jinping agli arresti domiciliari) ma anche dei media cinesi, ufficiali e non, che pure esistono e che spesso le notizie, direttamente o indirettamente, le danno.

Quest’anno niente: la consegna data in occasione del “plenum” del Comitato Centrale (358 membri, tra effettivi e “riserve”, oltre metà dei quali verranno sostituiti per raggiunti limiti di età) riuniti nei giorni scorsi a Pechino e ai quali sono stati consegnati i documenti ufficiali sul nuovo organigramma del partito e sull’annunciata modifica alla Costituzione, “pennellata” su misura per Xi dall’ideologo Wang Hunin, è quella di mantenere il riserbo assoluto. E di questi tempi, con la lotta alla corruzione, l’insubordinazione e il dissenso interno tra i pochi, innegabili successi del segretario generale Xi Jinping (1 milione e mezzo di dirigenti e funzionari rimossi, tra “tigri” e “insetti”, come li chiamano i media locali, a seconda del loro status) sono in pochi quelli disposti a rischiare. Che lo spettacolo, la Grande Rappresentazione, abbia inizio dunque, e che il popolo cinese – ed il mondo intero, vista l’importanza che ha la Cina nello scenario internazionale – ne sia finalmente, se non partecipe, quantomeno edotto. Cominciamo con le certezze. Xi Jinping ce l’ha fatta. Nonostante i (pochi, per la verità) dubbi, timori e speranze emersi negli ultimi mesi, il suo terzo, storico mandato – cui probabilmente seguirà un quarto – sarà confermato. Sarà lui a guidare ancora per molti anni la Cina e a rappresentarla nel mondo.

Nell’arte di conquistare – ma soprattutto mantenere – il potere giocano vari fattori, la filosofia cinese è, sul tema, ricca di insegnamenti. « Meglio vivere come cani in tempi di pace, che come esseri umani in tempi di guerra» recita uno di questi: giocano vari fattori, ma uno dei più importanti è l’equilibrio – o la sua assenza – tra meriti del leader del momento e mancanza di un’alternativa. Nel caso della Cina, l’era delle epiche, spesso violenti e crudeli (come quando Mao impedì a Zhou Enlai di curarsi il cancro, nel timore che gli sopravvivesse) lotte intestine al partito sembrano davvero finite: le ultime transizioni (da Jiang Zemin a Hu Jintao e da questi allo stesso Xi Jinping) sono avvenute senza spargimento, quanto meno apparente, di sangue, ed in questo bisogna dare atto all’attuale presidente/segretario/ comandante in capo delle forze armate (e il congresso potrebbe aggiungere un nuovo titolo, ad abuntantiam), caduto più volte in disgrazia con la sua famiglia e che per ben dieci volte si era visto rifiutare la domanda di iscrizione al partito, di essersi mosso con grande efficienza e saggezza. Il partito – mai così forte (oltre 96 milioni di membri, con tre milioni in lista di attesa) e compatto – è con lui. Così come sembrano oramai allineati gli organi dirigenti dello stesso: dal Comitato Centrale, metà del quale sarà rinnovato, ai 25 membri del Politburo e alla sua Commissione Permanente: i 7 uomini (niente donne, ancora) che di fatto governano la Cina. Un inevitabile avvicendamento e magari qualche sorpresa (per noi osservatori esterni) ci sarà.

Undici dei 25 membri del Politburo, compresa Sun Chunlan, l’unica donna, hanno raggiunto i limiti d’età, e anche se la vecchia regola qi shang, ba xia (“sette su, otto giù”, in base alla quale si può essere ancora eletti a 67 anni, ma a 68 bisogna farsi da parte) ha subìto qualche deroga, è probabile che stavolta venga onorata, proprio per lasciare spazio alle “nuove”, si fa per dire, generazioni. Vedremo se, come sembra, Xi Jinping riuscirà a riempire le caselle con i suoi fedelissimi, a cominciare da Chen Miner, governatore della provincia autonoma di Chong Qing, e Ding Xuexiang, attuale responsabile dell’organizzazione del partito. Tra le caselle più importanti da coprire c’è poi quella del premier: Li Keqiang, che negli ultimi tempi ha spesso manifestato il suo dissenso, soprattutto sulle questioni economiche, da Xi Jinping, dovrebbe ritirarsi entro il prossimo marzo, anche se la sua uscita di scena potrebbe essere anticipata. Il suo successore doveva – e potrebbe ancora esserlo – Li Qiang, segretario del partito di Shangai (la fazione ancora dominante, guidata da Jiang Zemin) e fedelissimo di Xi Jinping. Ma la controversa, per usare un eufemismo, gestione della pandemia, con i ripetuti lockdown imposti a una popolazione oramai inferocita, ne hanno offuscato l’immagine, rilanciando le candidature di Wang Yang, ex governatore del Guangdong, la provincia più ricca e prosperosa della Cina, il cui Pnl ha di recente superato quello dell’Italia e del Regno Unito, e Hu Chunhua, detto “il piccolo Hu” (riferito all’ex presidente Hu Jintao, di cui non è parente ma che da sempre lo appoggia), già vicepremier con Li Keqiang e anche lui ex governatore del Guangdong.

Ma per i cinesi – mai così orgogliosi del loro storico riscatto – e probabilmente per il resto del mondo – mai così preoccupato della cosiddetta “nuova assertività” cinese – le cose non cambieranno granché. La strada del futuro – che nella visione di Xi Jinping vede oramai la Cina giocare un ruolo determinante, se non decisivo nel guidare il mondo verso la pace e la prosperità comune – è in qualche modo segnata. Tant’è che la stampa locale, più che impegnarsi nel totopremier, preferisce approfondire i temi politici, economici e sociali indicando quali potrebbero essere gli ostacoli – ma anche le eventuali scorciatoie – in grado di rallentare, o accelerare, la corsa verso il chao che: lo storico “sorpasso”. Obiettivo che i cinesi, anche se non lo dichiarano, considerano scontato, ma che rischia – a causa del rallentamento della crescita e al persistere della politica del “zero Covid”, che blocca la ripresa – di dover essere rimandato.

Più che i nomi dunque, più che i temi di politica estera (Putin e Pelosi, con le loro rispettive iniziative, hanno contribuito non poco a compattare la leadership del partito e il consenso popolare) contano i numeri. Quelli di una crescita ridimensionata (le ultime previsioni indicano il 3,2 rispetto al 5,5% programmato), la crisi demografica, con le famiglie che nonostante l’abolizione della politica del figlio unico continuano a non fare figli e di una oramai non più rimandabile riforma delle pensioni: nessuno al mondo, tanto meno la Cina, può permettersi di mantenere gli attuali limiti: tra i 50 ed i 60 anni, a seconda del sesso e del tipo di lavoro. Ma non sarà facile: un esercito di giovani – oltre dieci milioni dei quali laureati – è in cerca di lavoro, e non tutti si accontentano del primo che viene loro offerto.

C'è poi un altro “ordigno” innescato: quello del mercato immobiliare: se, come sembra, il governo è pronto a farlo scoppiare, potrebbe provocare conseguenze drammatiche non solo sull’economia, ma anche sulla tenuta del tessuto sociale. Non dimentichiamoci che l’innegabile consenso di cui gode il partito è fondato proprio sulla garanzia di un livello di vita sempre migliore, obiettivo che pur con numerosi limiti e contraddizioni è stato sin qui raggiunto. « Ecco perché non bisogna aver paura della Cina e tanto meno isolarla, ammesso che la cosa sia possibile – spiega un imprenditore europeo che da anni vive e lavora in Cina, ma che preferisce restare anonimo – una Cina in corsia di sorpasso fa comodo a tutti. Guai se si fermasse».