Opinioni

Il momento di un "patto per il Paese". Ciò che serve, adesso

Francesco Riccardi martedì 12 luglio 2011
La situazione è grave, ma non drammatica. Non ancora, perlomeno. Il lunedì nero vissuto dai mercati finanziari ha confermato l’allarme risuonato già venerdì scorso, ma non è necessariamente l’inizio della fine. Le tensioni certo sono forti. La Borsa di Milano ha perso ieri quasi il 4 per cento. Sommato alle perdite precedenti, il mercato azionario ha di fatto annullato i recuperi faticosamente ottenuti in due anni dalla fine della (prima?) crisi finanziaria globale. Al centro delle vendite soprattutto le nostre banche, "colpevoli" agli occhi degli investitori di avere in pancia troppi titoli di Stato e dunque di essere potenzialmente fragili. Eppure, se si guarda alla solidità complessiva del nostro sistema bancario, i fondamentali appaiono tutt’altro che problematici: gli istituti hanno passato con successo gli "stress test" di primavera, molti si sono ricapitalizzati proprio per rafforzare la base patrimoniale e a leggere i bilanci gli utili non sembrano difettare. Più complessa la situazione riguardo agli spread tra Btp e Bund (cioè la differenza di rendimento tra i nostri titoli pluriennali e quelli tedeschi) che ha sfondato la soglia record dei 300 punti base, poco sotto i 337 della Spagna, anche se ancora molto lontani dagli oltre 1.000 di Irlanda e Portogallo o – peggio – dai 1.400 della Grecia. Ciò significa che se il rendimento di un Bund tedesco è pari al 3%, quello italiano, a causa del maggior rischio, va remunerato al 6%. Particolarmente importanti saranno dunque le prossime aste di titoli di Stato: oggi un assaggio con i Bot annuali, giovedì i Btp. Di qui a settembre ci sono da piazzare titoli tra i 18 e i20 miliardi di euro e un forte innalzamento dei rendimenti, minerebbe ulteriormente la credibilità dell’Italia e renderebbe necessaria una manovra ancora più pesante per raggiungere il pareggio di bilancio nel 2014.Situazione grave, dunque. Non ancora drammatica, però, perché la crisi che si è innestata oggi più che ai problemi strutturali – il debito pubblico al 120% del Pil e una crescita economica sempre stentata – sembra guardare alla situazione contingente. A quella "cattiva politica" che sta caratterizzando il Paese da almeno un anno a questa parte, prima con l’evaporare della solida maggioranza che controllava le Camere, poi con le risse continue, non solo tra i partiti, ma all’interno stesso della compagine governativa, tra ministro e ministro, fino ai sospetti e alle reciproche recriminazioni tra il premier e il plenipotenziario dell’Economia. Il tutto mentre le inchieste giudiziarie si susseguono a un ritmo incessante: dalle malversazioni nella pubblica amministrazione agli scandali per i comportamenti personali, fino alla compravendita delle nomine pubbliche. Qualcosa di inconcepibile nel resto del Continente, dove per qualche frase "copiata" in una tesi i ministri si dimettono.La vera risposta all’interessata ondata di sfiducia verso l’Italia allora sarebbe – e il capo dello Stato insiste per questo – un’efficace azione di "buona politica". Niente sfidanti blindature, niente passi ultimativi sulla manovra finanziaria, con una fiducia strappata al Parlamento sulla base di una cambiale praticamente in bianco, che non darebbe alcuna garanzia di essere poi "esigibile" in futuro. Ma il sensato coinvolgimento, nel rispetto dei diversi ruoli, di tutte le principali forze politiche per costruire un vero "patto per il Paese", che guardi anche oltre la scadenza elettorale. Le due diverse opposizioni hanno già dato la loro disponibilità e nella stessa maggioranza sono stati individuati alcuni punti della manovra che possono essere modificati senza cambiare i saldi. Un accordo ampio, bipartisan e rapido, sul pareggio di bilancio darebbe infatti ai mercati e agli investitori la percezione che l’Italia ha ancora e sempre risorse economiche – e più ancora umane – da investire per se stessa. E che non intende farsi divorare il futuro. Il nodo non è il destino di questa o quella personalità, ma ciò che uomini e partiti non possono non fare per noi tutti.