Opinioni

A Sant'Antimo (Na). Gli otto carabinieri sotto accusa e la nostra fiducia nell'Arma

Maurizio Patriciello giovedì 30 gennaio 2020

Il pensiero, grato, affettuoso, corre ai tanti carabinieri che giorno e notte rischiano la vita sul nostro territorio. La nostra stima nei loro confronti non è venuta meno, al contrario, si è rafforzata. La nostra fiducia nell’Arma dei carabinieri continua come e più di prima. Sant’Antimo è uno dei tanti paesi che si rincorrono alla periferia tra Napoli e Caserta.

Sant’Antimo deve sottostare, come ogni altro paese, ai soprusi e alla tirannia della camorra locale. Gli inquirenti sanno tutto, nomi, cognomi, indirizzi dei componenti dei vari clan, eppure, nonostante l’impegno e la fatica, non si riesce a debellarli. Hanno messo radici talmente profonde che le retate, i blitz, gli arresti non riescono a estirparli. Perché? Quando si parla di camorra in Campania, c’è chi inizia da lontano, dall’arrivo di Garibaldi a Napoli, quando il popolo si ritrovò i vecchi camorristi che incutevano terrore, in divisa.

Una pagina di storia orribile. Poi venne la Seconda Guerra Mondiale, lo sbarco degli americani, i tempi in cui dei camorristi, in qualche modo, ci si serviva per riportare l’ordine. Una sorta di collaboratori, insomma. È vero. Fatto sta che la camorra si è trascinata fino ai nostri giorni e di morire proprio non ne vuol sapere. Anzi. Come un fiume carsico avanza, ora agendo di nascosto, ora riemergendo in superficie. Che fare? Si va avanti. A volte ci si trascina, altre volte si tenta di chiamare a raccolta i buoni, ovunque siano, chiunque siano, per formare l’esercito che sarà finalmente in grado di eliminarla. I rassegnati dicono che occorre farsene una ragione, che con la camorra occorre, necessariamente, conviverci.

Chi ha provato a mettersi contro i clan, come - per fare solo un paio di esempi - Luigi Leonardi e Benedetto Zoccola, si ritrova oggi a vivere sotto scorta dopo aver detto addio ai propri progetti. Non una volta sola le autorità militari e politiche hanno lamentato la mancanza di collaborazione dei cittadini con le forze dell’ordine. L’omertà - parola orribile! - sarebbe alla base del silenzio dei cittadini. Non sempre è vero. Non sempre i cittadini tacciono per una sorta di complicità nei confronti del clan locale. Il vero problema è che la gente ha paura, non si fida di nessuno.

Nel mio quartiere, per esempio, Parco Verde, in Caivano, qualche anno fa, insieme al maggior trafficante di droga (Parco Verde è stato definito la piazza di spaccio più grande d’Europa), vennero arrestati alcuni carabinieri che con lui stavano in affari. Uno di questi, certo Lazzaro Cioffi, detto Marcolino, da più di vent’anni controllava il quartiere. La gente, nascosta dietro le tapparelle, si era accorta cha qualcosa non andava. Quando fu arrestato, nessuno, ma proprio nessuno, si meravigliò.

A Sant’Antimo, in questi giorni, otto carabinieri sono stati accusati di corruzione, omissione in atti d’ufficio, rivelazioni di segreti. Cinque di essi sono finiti agli arresti domiciliari. Pur abituati a scandali di ogni tipo, siamo rimasti terribilmente orripilati da questa notizia. I cittadini si sono chiusi ancora di più a riccio. Le parole che passano di bocca in bocca sono queste: «Sono tutti uguali. Non se ne salva nessuno». Invece occorre resistere a questa tentazione. Occorre saper distinguere, discernere, pretendere che i colpevoli, qualora fossero veramente tali, vengano puniti severamente. Ma anche bisogna saper essere solidali con i carabinieri onesti e leali. Una cosa, però, va detta. Anche l’Arma, come sta facendo la Chiesa, deve fare più attenzione, essere più severa e oculata, nella selezione degli aspiranti carabinieri. Anche l’Arma deve vigilare di più e meglio su coloro che danno segni di collusione.

Perché non c’è niente di peggio, per coloro che ogni giorno sono costretti a sopportare il fiato puzzolente della camorra, sapere che i carabinieri ai quali guardavano con fiducia, con la camorra erano collusi. La “corruzione spuzza” disse papa Francesco a Napoli, qualche anno fa. È vero. Peggio del camorrista c’è solo chi, nascosto dietro una divisa, una toga, una fascia tricolore o un abito talare, con lui fa affari. Non spegniamo la speranza. Isoliamo i camorristi. “Sono due notti che non dormo” mi ha detto a riguardo un amico colonnello; mentre un capitano dell’Arma mi ha confessato: «Da ieri ho il cuore a pezzi». Anche noi. Perciò, rimaniamo uniti e continuiamo a combattere una guerra sempre più spietata contro la camorra.