Opinioni

La Resistenza nelle parole di un poeta. Parte dell'anima, non soltanto storia

Roberto Mussapi sabato 25 aprile 2020

Il 25 Aprile: Liberazione. Come ogni liberazione, un fiotto che sbocca fluvialmente e con gioiosa energia, facendo saltare un tappo opprimente.

Perché una liberazione abbia luogo è stata necessaria una lotta. Tra due contendenti, il più debole non è quello che ha aggredito, ma quello che è stato aggredito, che ha dovuto difendersi. Che ha saputo resistere, trasformando la sopportazione e l’irremovibilità in vittoria. In ogni guerra, non solo a livello di nazioni o fazioni, ma in noi, negli spazi e nei recessi della nostra anima, chi vive la liberazione non è mai l’aggressore, ma colui che è stato aggredito e oppresso.

Il 25 Aprile, essendo la festa della Liberazione, è la festa della Resistenza. Ora e sempre.

Pur non privi di limiti, ambizioni e rivalità intestine, i Greci distrussero l’immenso esercito e l’infinitamente superiore flotta dei Persiani invasori perché seppero resistere. Lottando strenuamente, nello stretto di mare come alle Termopili. Fu una vittoria della Resistenza contro la Potenza.

Io sono nato a Cuneo, città medaglia d’oro alla Resistenza, che ha, nel suo stemma, il motto “ Ferendo”: che, per il lettore che non conosca il latino, non significa: “Con il ferire”. Ma: “Con il sopportare”. Resistendo. Non fu coniato nell’epopea gloriosa della mia patria Italia, dal 1943 al 1945, che ci consentì di non presentarci, a guerra finita, al tavolo soltanto dalla parte dei nazisti genocidi e dei giapponesi loro alleati, ma anche dalla parte dei popoli difensori della libertà. Il motto “ Ferendo” nacque, mi pare, dopo che i cittadini avevano resistito a ben sette assedi dei francesi, in un tempo lontano. Scavando sotto la terra, per approvvigionarsi, per resistere, e alla fine vincere. Storia e mito e leggenda si confondono.

Ci penso, ogni 25 aprile, con fierezza. E, specifico, a differenza della maggior parte degli italiani e di quasi tutti i loro poeti e scrittori, io non privilegio in assoluto la mia città di nascita, da cui me ne andai per scelta, mia meta Milano. Quella città, Cuneo, è nel mio cuore, come lo sono altre dove non sono nato e mai ho vissuto, come Genova, Venezia... Non parlo quindi per campanilismo, quando indico in Cuneo un modello culturale e morale.

Sono stato il primo italiano a scrivere un poema epico, in tempi moderni. Antartide: l’avventura del comandante Shakleton e di eroici inglesi che salparono verso il continente di ghiaccio, per attraversarlo a piedi: l’impresa non riuscì, ma riuscirono a sopravvivere, resistendo, tutti: il nome della loro nave è Endurance, sinonimo di Resistenza, di Ferendo.

Offesa in questi anni con violazioni di lapidi, scritte infami non solo negli stadi, negletta o ignorata dalla maggior parte dei quarantenni, la Resistenza non è un episodio della nostra storia, ma una parte dell’anima. Quella dei martiri, tutti e da sempre, e quella di uomini che non furono e non sono martiri, ma degni e umili testimoni del giusto della vita.

La resistenza è l’antivirus: il coronavirus è dannoso, tremendo, fa tanti morti, ma il virus che non ci salva, che ci abbatte e ammorba, è una malattia dell’anima.

Questo sia il 25 aprile di una nuova, impensata quanto drammatica, Resistenza.

Venti giorni fa, quando la situazione si aggravava e tutto era ogni ora più confuso e inquietante, e nel cuore di tanti di noi gonfiava il dolore, ne parlavo al telefono con Ettore Canepa, uno dei miei maestri, che, prima dei saluti caldi e augurali, concluse: «Terremo duro. Noi italiani, con tutti i nostri difetti, abbiamo qualcosa di unico, e meraviglioso: la Resistenza è nel nostro Dna. Come, e con, il Rinascimento».