Opinioni

Parole trovate, occasioni perse. Agire per la famiglia si può, persino uniti

Massimo Calvi venerdì 12 aprile 2019

Per una curiosa coincidenza, nel giorno in cui in Italia si è formalmente aperto l’ennesimo cantiere politico per rimodulare il sistema di aiuti alle famiglie con figli, una serie di dati forniti da diverse agenzie ha reso evidente come questa necessità sia assolutamente impellente: l’Istat ha ricordato che il nostro Paese è ultimo in Europa per tasso di fecondità, con 1,32 figli per donna, mentre è primo per indice di vecchiaia, con 169 persone sopra i 65 anni per ogni 100 giovani con meno di 15 anni, un record storico; l’Ocse ha invece fatto notare che i lavoratori italiani sono tra i più tassati al mondo e il cuneo fiscale per una coppia con due figli a carico è al top in Europa.

Per farla breve siamo una nazione che non aiuta abbastanza le famiglie con figli e questo si ripercuote sulla struttura demografica, allungando non poche ombre sulla tenuta sociale nei territori, sulla sostenibilità dei sistemi di protezione sociale, sul futuro stesso del Paese. Per questo è molto positivo che il ministro (senza portafoglio) della Famiglia, Lorenzo Fontana, abbia annunciato una riforma organica del welfare familiare con l’obiettivo di razionalizzare i tanti ma disomogenei strumenti a disposizione e farli convergere in un "assegno unico" per ogni figlio, rimodulare l’Irpef e le varie detrazioni per favorire i nuclei con prole, introdurre nuovi sostegni per pagare baby sitter, pannolini e prodotti vari per l’infanzia. L’impegno, in quanto tale, è stato accolto con favore dal Forum delle associazioni familiari, e dal suo presidente Gigi De Palo, che da tempo lavora per far convergere forze politiche e istituzioni attorno a un "Patto per la natalità" capace di assecondare e sostenere il desiderio di famiglia, e che ha indicato proprio in un nuovo assegno-figli universale, pagato a dipendenti, autonomi e incapienti, la misura dalla quale incominciare.

Se però è possibile registrare un passo avanti, va anche detto che si è persa un’occasione: quella di favorire una convergenza politica più ampia in Parlamento sul tema della famiglia e degli aiuti ai figli, anziché farne un’ulteriore occasione per dividersi. Alla Camera, dove erano approdate diverse mozioni – una di Lega-M5s e una del Pd, oltre a quella di Fratelli d’Italia – il confronto è finito con ciascuno che si è votato la propria, tra accuse e attacchi incrociati. È pur vero che una mozione, come si suole dire, è un po’ come un caffè o una sigaretta, cioè non si nega a nessuno, tuttavia in un momento in cui attorno alla famiglia si spendono soprattutto parole, sarebbe stato importante trovarne di nuove e unificanti. Anche perché al centro della questione non c’è un bene qualsiasi, ma qualcosa di prezioso e purtroppo di infragilito.

Nel merito di quanto messo sul tavolo vi sarebbero in ogni caso diverse questioni che attendono di essere chiarite. Un primo aspetto contraddittorio rispetto agli obiettivi riguarda il collegamento tra assegno unico e riforma fiscale. In tutta Europa, nei Paesi dove gli aiuti alla famiglia sono più efficienti – come Austria, Belgio, Francia, Germania, Gran Bretagna, Olanda e Svezia – il prelievo risponde a criteri di progressività, mentre gli assegni per i figli sono elevati e uguali per tutti, dai 100 ai 200 euro al mese a figlio. Cioè: le famiglie sono tassate in base al reddito e ai carichi, ma quando si tratta di dare un beneficio monetario, questo pone i figli tutti sullo stesso piano, senza distinzioni tra ricchi o poveri, tra dipendenti o autonomi.

Una scelta che ha un elevato valore simbolico perché ogni figlio che nasce è anche un bene pubblico e non solo un affare privato. L’Italia invece, al momento, sembra muoversi verso un sistema che è l’esatto contrario: da una parte una tassazione piatta e non progressiva, la flat tax, dall’altra un assegno che cala con l’aumentare del reddito, com’è scritto nella mozione votata dalla maggioranza. Chi paga più tasse, in sostanza, rischia di non ricevere nulla in assegni per i figli, proprio come avviene oggi. Il collegamento tra flat tax e dotazione per la prole andrebbe poi verificato anche in termini di risorse: dove si troveranno i soldi per tutto quanto viene annunciato?

La soluzione è stata individuata proponendo all’Europa una 'golden rule' per le spese dedicate alla famiglia e alla natalità: si chiede cioè di non considerare queste voci ai fini del rapporto tra deficit e Pil. Anche qualora il maquillage dei conti fosse concesso, il rischio che si configura è di incentivare sì la nascita di nuovi figli, ma per farli crescere in un Paese sempre più indebitato e che continua a spendere più di quanto può permettersi in rendite, pensioni anticipate e bonus vari. Il modo migliore per aiutare chi desidera investire sul futuro costituendo una famiglia è invece creare anche quelle condizioni di stabilità che rendono il futuro sostenibile e l’orizzonte capace di trasmettere fiducia.

La prova che con le cifre del bilancio le parole incontrano facilmente degli ostacoli è arrivata di recente: a fronte della volontà manifestata nella mozione della maggioranza di incrementare gli incentivi per gli asili nido e le baby sitter, il governo ha deciso quest’anno di non rifinanziare proprio il sostegno a queste due voci, in vista di tempi migliori. Attendiamo fiduciosi, ma vigili. Tutto è in movimento e la maggioranza ha ufficialmente avviato un percorso che dovrà portare a risultati concreti già nel Documento di economia e finanza: di questo ci si deve rallegrare, concedendo tutto il credito possibile.

Il tempo dirà se alle buone parole seguiranno anche le buone azioni e se vi sarà la volontà di farle coincidere con gli altri fronti aperti del Contratto. Sapendo che, piaccia o non piaccia, in nessun Paese al mondo in squilibrio demografico il problema riesce a essere risolto con il solo contributo delle nascite autoctone.