Opinioni

Il viaggio. Il Papa nel Caucaso e la sfida delle fedi

Stefania Falasca giovedì 29 settembre 2016

Papa Francesco non entrerà nella complessa questione che oggi separa l’Armenia dall’Azerbaigian, il conflitto per il Nagorno Karabakh. Esiste già uno strumento internazionale creato dall’Osce, il Gruppo di Minsk, per la questione aperta tra armeni e azeri.

Dopo il riaccendersi del conflitto all’inizio del mese di aprile scorso, anche i rappresentanti di tale organismo hanno infatti parlato di un rilancio di iniziative alla ricerca di una soluzione durevole, possibilmente attraverso il compromesso tra le parti. Così in Georgia il Papa non firmerà una dichiarazione congiunta con il Patriarca Ilia II, come quella firmata a Etchmiadzin in Armenia con il patriarca Catholicos Karekin II. Ma il viaggio, che dopo quello in Armenia conclude l’itinerario caucasico di papa Francesco e che domani avrà inizio nell’incandescente regione cerniera dell’Asia, si muove – e non potrebbe essere altrimenti nella dimensione geoecclesiale del Papa – in quello spirito d’Assisi che vede al centro il dialogo ecumenico ineludibile con la Chiesa ortodossa in Georgia e l’incontro interreligioso sulla porta dell’islam asiatico in Azerbaigian. Il Papa entra così nell’instabilità dell’area dalla parte della risorsa delle religioni, o meglio, dall’incontro personale con i rappresentanti delle diverse fedi, dando così alla visita il carattere fortemente ecumenico e interreligioso per la causa della pace e della mutua riconciliazione.

Epicentro la preghiera ecumenica anche per l’Irak e la Siria, che Francesco reciterà nella Chiesa cattolica caldea di San Simone Bar Sabbae, a Tbilisi, in Georgia, alla quale parteciperanno anche tredici vescovi caldei venuti da Erbil, dove è in corso il Sinodo caldeo. E dove per la prima volta una delegazione ortodossa prenderà parte alla celebrazione eucaristica del Papa. Del resto, aveva fatto notare il Segretario di Stato, Pietro Parolin, già prima del viaggio a giugno in Armenia: «Non penso si possa ipotizzare una facile soluzione di tutte le problematiche che riguardano la regione caucasica. 

Queste hanno bisogno di volontà politica e di disponibilità al compromesso. Papa Francesco si reca nei Paesi caucasici con grande umiltà, cercando innanzitutto di conoscere, ascoltare, di capire e, conseguentemente, di incoraggiare ogni iniziativa di dialogo e di apertura verso l’altro». Apertura e tendere la mano all’altro significa anche partire dal ricercare anzitutto l’unità tra i cristiani. Anche in Paesi in cui la presenza cattolica è estremamente ridotta, ma sempre significativa. La Chiesa ortodossa di Georgia è tra quelle più chiuse, per la sua interpretazione rigorista dei canoni della propria tradizione ecclesiale, e da sempre rende complesso il suo rapporto con il movimento ecumenico e con le stesse Chiese sorelle dell’Ortodossia.

Gli ortodossi georgiani hanno disertato il Concilio panortodosso celebrato a Creta nel giugno 2016. Una circostanza che non era stata prevista dal Vaticano, che aveva programmato il viaggio del Papa nei tre Paesi della regione caucasica lasciando a giugno solo l’Armenia proprio nella previsione che in quel periodo il patriarca georgiano Ilia si recasse a Creta. Ma così non è stato.

Hanno invece poi preso parte alla sessione della Commissione mista di dialogo teologico tra la Chiesa cattolica e la Chiesa ortodossa svoltasi a Chieti dal 15 al 22 settembre, ma sottoscrivendo il documento su primato e sinodalità gli ortodossi georgiani hanno voluto che nel documento steso alla fine della sessione fosse inserito in nota un riferimento al disaccordo su alcuni punti del testo approvato. Papa Francesco conosce le difficoltà vissute dalle Chiese ortodosse e anche le ritrosie di quelli che il metropolita teologo Ioannis Zizioulas, ha definito «talebani ortodossi». 

Tuttavia Papa Francesco, come abbiamo visto, continua a tessere personalmente una rete di rapporti al plurale, non solo con i big Kirill di Mosca e Bartolomeo di Costantinopoli, ma con ciascuna delle Chiese sorelle, comprese le più piccole, e con i loro singoli Primati, manifestando così non solo un approccio pienamente consono alla ecclesiologia sinodale ortodossa. Il dialogo è ineludibile. Sempre, ai fini della pace. E se è doveroso tra persone di diverse fedi, tra cristiani, nella pazienza e nella carità l’imperativo è la ricerca dell’unità.

Bartolomeo ad Assisi si è soffermato proprio sul significato della comunione tra cristiani facendo eco alle parole del Papa: «Perché ai cristiani è richiesta una testimonianza di comunione… solo così possiamo offrire acqua viva a chi ha sete, acqua che non ha fine, acqua di pace in un mondo senza pace… Quale parola di pace – aveva proseguito Bartolomeo – potrà essere offerta all’altro, al diverso, al lontano, allo sconosciuto, a colui che si frappone tra noi, se quella parola di pace non sarà una reale esperienza di comunione? Come offrire pace che è amore, senza la nostra reale testimonianza della comunione in Dio e con il prossimo?».

In Georgia il Papa incontrerà anche in colloquio privato il patriarca Ilia di fronte a un mondo assetato di misericordia, di unità e di pace, e dando il bacio della pace e l’abbraccio fraterno sancirà un segno eloquente. In essa si conferma che, nonostante le persistenti divisioni tra cristiani, ciò che unisce è molto più di quello che divide e si ribadisce l’importanza di sviluppare una profonda e più incisiva collaborazione non solo in campo teologico, ma anche nella preghiera e in un’attiva cooperazione a livello locale.

Lo stesso cardinale Parolin sottolineava già nella precedente visita in Armenia «il decisivo atto di coltivare rapporti personali, a cominciare da quelli dei capi delle Chiese». Così a Baku in Azerbaigian papa Francesco incontrerà personalmente lo sceicco del Caucaso e parteciperà all’incontro interrelgioso per promuovere il dialogo e la multiculturalità. 

 Aprendo le porte all’accoglienza e all’integrazione, alla fraternità come speranza per tutti nel Paese, «porta tra l’Oriente e l’Occidente», e condizione indispensabile per costruire solidi ponti di pace. Papa Francesco quindi non potrà in questa cerniera con l’Oriente che rinnovare la chiamata agli uomini delle diverse fedi a promuovere un compito educativo, perché le religioni rifiutino e condannino la violenza in nome di Dio e siano una bussola per la ricerca del bene comune.