Opinioni

La «ricetta» del Papa: educare lo sguardo sul Creato. Lasciamo spazio alle rose nell’orto di Durban

Marina Corradi martedì 29 novembre 2011
​Nella «Vita seconda di Tommaso da Celano» si racconta che san Francesco raccomandava al frate ortolano di non coltivare soltanto ortaggi, ma di lasciare posto anche ai fiori: perché chi passava, vedendoli così belli, si rivolgesse grato al Creatore. Lo ha ricordato ieri Benedetto XVI ai ragazzi di un’associazione ecologista cattolica. La poesia di un santo? L’approccio del Papa con questi studenti a ben guardare si rivela più concreto di tanti altri: nel giorno in cui a Durban si apre un nuovo vertice mondiale sul clima, che faticosamente dovrà coniugare le ragioni di scettici e catastrofisti, e forse già farà fatica a ragionare di accordi di Kyoto, nel momento in cui la crisi economica  si presenta come la priorità schiacciante dell’Occidente.Dunque il Papa ricorda come Francesco, a rischio di sembrare folle in tempi sempre minacciati dalla fame, spingesse il suo confratello a lasciare spazio alle rose nell’orto. Perché quella bellezza, così evidentemente non frutto di un caso, inducesse l’eco di uno stupore, e di una gratitudine, anche nel più materialista degli osservatori. Francesco come il salmista che compose i versi pure citati dal Papa ai ragazzi: «I cieli narrano la gloria di Dio, l’opera delle sue mani annuncia il firmamento...».  L’invito a guardare la natura e a lasciarsi prendere dallo thauma, lo stupore. A seguire quella sapienza istintiva che è dei bambini e dei semplici, e che insiste: tutta questa bellezza, non può essere il frutto di un caso.Perché la tradizione cristiana, e già veterotestamentaria, è più concreta e pedagogicamente efficace di allarmismi o doverismi moralistici, per parlare di ecologia a dei ragazzi? Perché parte da una bellezza, dalla evidenza di una bellezza; nessun bambino che guardi un cielo stellato o l’ordinato procedere di uno stormo di rondini sfugge a questa antica reverente venerazione. E nel riconoscere la bellezza può germinare un’affezione a quel disegno straordinario, in cui siamo immersi; nel constatare che ne sappiamo ben poco, e che non ne siamo i padroni, può radicarsi un rispetto profondo verso questo immenso "dato" che è il mondo. È in fondo una delle anime, e forse la migliore, di quell’ecologismo che negli anni Settanta è sorto in Occidente, e che il Papa recentemente nel discorso al Reichstag a Berlino ha definito «una boccata d’aria fresca», e il segno della percezione che «nei nostri rapporti con la natura c’è qualcosa che non va; che la materia non è soltanto un materiale per il nostro fare, ma che la terra stessa porta in sé la propria dignità».Anche ai suoi giovani visitatori di ieri però Benedetto XVI ha ridetto, in parole semplici, l’urgenza già sollevata al Reichstag, di una «ecologia dell’uomo». Dentro quel mondo che gli ambientalisti vogliono proteggere sta anche l’uomo; anche lui ha una natura che non può manipolare come se ne fosse il padrone, aveva detto il Papa in Germania. Portando alla luce quello strano discrimine della cultura contemporanea, per cui fauna e flora e terra sono da proteggere, e l’uomo no. Per cui si lotta per ogni specie a rischio di estinzione, ma si è indifferenti davanti agli aborti, o alla tecnica che allunga le mani sulla procreazione. Come in una strana ostilità dell’uomo contro se stesso. Come percependo se stesso distruttore, avvelenatore del mondo ricevuto.E certo, in questo c’è del vero: nella sua libertà, l’uomo può anche distruggere, e mai ne ha avuto i mezzi come ora. Ma cosa insegneremo allora ai nostri figli? Fredde norme di igiene ambientale, che archivieranno forse, bombardati come ne sono fin da piccoli, come regolamenti noiosi? O angosciose paure di apocalissi prossime e venture? Lo sguardo più fecondo e più umano sull’ambiente non è lo stupore grato per un’immensità, che con evidenza ci precede? La parola più moderna è quella dello sconosciuto autore del Salmo 19, citato ieri dal Papa, che dice della gloria di Dio, e della sua opera, leggibili nel firmamento: «Senza linguaggi, senza parole, senza che si oda la loro voce, per tutta la terra si diffonde il loro annuncio».