Opinioni

Le parole di Francesco. Il Papa e le persecuzioni dei credenti: il beato e il nemico

Gerolamo Fazzini giovedì 15 settembre 2016
Hanno colpito molto e molti le parole (e il modo con cui sono state pronunciate) dell’omelia, breve ma intensa, tenuta da papa Francesco ieri durante la consueta Messa quotidiana in Santa Marta. Nel giorno in cui la Chiesa venera l’Esaltazione della Croce di Gesù, Francesco aveva scelto di celebrarla in segno di vicinanza a familiari e amici di padre Jacques Hamel, ucciso il 26 luglio nella chiesa di Saint-Etienne-du-Rouvray. Ebbene: quelle parole hanno sicuramente toccato i pellegrini di Rouen, che, insieme al loro vescovo hanno partecipato alla Messa. Ma hanno lasciato il segno anche sui tantissimi che erano collegati in diretta tv, in Francia e non solo, e su quanti hanno ascoltato e visto il Papa via internet.Perché? Non è certo la prima volta che il Papa tocca un tema a lui caro, quello del martirio cristiano. Non era una novità l’affermazione – forte – secondo cui «oggi nella Chiesa ci sono più martiri cristiani dei primi tempi». Inedito, invece, è stato l’abbinamento che il Papa ha proposto tra l’invito alla sequela del martire che, alla scuola di Cristo, ieri come oggi «umilia se stesso, facendosi obbediente fino alla morte» e la denuncia del carattere «satanico» del gesto di chi uccide in nome di Dio.«Padre Jacques Hamel è stato sgozzato proprio mentre celebrava il sacrificio della Croce di Cristo. Uomo buono, mite, di fratellanza, che sempre cercava di fare la pace è stato assassinato come se fosse un criminale», ha detto il Papa accompagnando le parole con un senso quasi di incredulità. Per poi aggiungere, con determinazione: «Questo è il filo satanico della persecuzione».L’aggettivo «satanico» non è stato un lapsus, evidentemente, se Francesco ne ha fatto il culmine del passaggio cruciale della sua omelia: «I cristiani che oggi soffrono, sia nel carcere o con la morte o con le torture, per non rinnegare Gesù Cristo fanno vedere proprio la crudeltà di questa persecuzione. E questa crudeltà che chiede l’apostasia è satanica. Quanto piacerebbe che tutte le confessioni religiose dicessero: "Uccidere in nome di Dio è satanico"». Mentre pronunciava queste ultime parole, papa Bergoglio non poteva non pensare all’imminente incontro di Assisi, dove rappresentanti religiosi di tutto il mondo si raduneranno, sulla scia dell’invito di papa Wojtyla nell’autunno 1986, per condannare qualsiasi forma di terrorismo e di violenza giustificata in nome di Dio.Ma il passaggio forse più toccante dell’omelia è stato quando il Pontefice - quasi immaginandosi la tragica scena davanti agli occhi – ha provato a descrivere gli ultimi attimi di vita di padre Hamel. Ed ha espresso la sua ammirazione per la lucidità che questa persona ha saputo mantenere «in mezzo anche a questa tragedia che lui vedeva venire», fino a dire chiaramente il nome dell’assassino: «Vattene, Satana!».Con questa descrizione rapida, poche decise pennellate, il Papa ha fatto un ritratto del martire cristiano che confligge inesorabilmente con talune rappresentazioni buoniste. A dire: il testimone di Cristo che decide di seguirlo fin sul Calvario non è un rassegnato, una persona remissiva che si arrende al male. Al contrario, è uno che, proprio davanti alla suprema ingiustizia (il buono ucciso dal malvagio), chiama le cose col proprio nome. Come tanti martiri cristiani di oggi, che sono stati amici dei musulmani (dai monaci di Tibhirine a suor Leonella Sgorbati, di cui tra pochi giorni ricorre il decimo anniversario dell’uccisione in Somalia), padre Hamel era amico dell’imam locale. Ma questo non è bastato ai suoi due carnefici, né è servito a far loro cambiare idea il fatto che, come scritto nel suo ultimo testo, padre Hamel sognasse per sé e augurasse agli altri di «sentire l’invito di Dio a prenderci cura di questo mondo, a farne, là dove viviamo, un mondo più caloroso, più umano, più fraterno».Già, perché Satana – il Papa non ha esitato a scomodare, ancora una volta, una parola che a taluni cattolici à la page sembrerà fuori luogo – è colui che divide, che distrugge. Mentre il martire semina attorno a sé amore e perdono. Perciò è «beato» («Beati voi quando vi insulteranno per causa mia...»), nonostante a occhi umani sia il più sfortunato e la sua sorte tutt’altro che invidiabile. Proprio per questo motivo va invocato, come il Papa ha caldamente raccomandato di fare: per imparare a salire, con lo stesso coraggio, sulla via del Golgota. Sulle orme di Cristo, primo martire della storia.