Opinioni

Mali, Tunisia, Egitto: dietro le crisi. Ombre afghane sul Nord Africa

Giulio Albanese venerdì 8 febbraio 2013
Il processo di pacificazione nel Mali settentrionale non può prescindere da un attivo coinvolgimento del mondo arabo nelle iniziative negoziali. I protagonisti sul campo, infatti, sono quelle milizie estremiste islamiche che hanno potuto affermarsi a seguito delle primavere arabe, sulla sponda mediterranea del Nord Africa. Non bisogna, pertanto, perdere tempo se è vero che la Francia completerà il proprio ritiro dall’Azawad entro la fine di marzo, passando le consegne, il mese successivo, a una missione di pace sotto le insegne delle Nazioni Unite composta da un contingente esclusivamente africano (il che la dice già lunga sulla loro affidabilità, considerando le esperienze pregresse in altre zone del continente).Da rilevare, a questo proposito, il coinvolgimento nelle vicende maliane del piccolo ma ricchissimo emirato del Qatar che sta spendendo un’ingente quantità di denaro nelle aree di crisi del mondo arabo (fronte siriano docet) per intromettersi con l’intento di creare una testa di ponte da usare per fini economici ma anche politici. Non è casuale che un paio di giorni fa – a quanto si apprende – due aerei con insegne qatariote abbiano fatto scalo in Algeria per consentire ai vertici dei gruppi jihadisti, impegnati a difendere quelle che erano le loro enclave in territorio maliano, di allontanarsi senza danni a seguito dell’offensiva francese. La notizia è stata diffusa da Le Temps d’Algerie, che ha citato ben informate fonti d’intelligence, precisando inoltre che sono giunte segnalazioni dalle martoriate regioni del nord maliano sulla presenza di alcuni "volontari" del Qatar che starebbero operando al confine tra Mali e Algeria, e non certo con la qualifica di operatori umanitari. Tutto questo è sintomatico dell’affermarsi del movimento salafita, dal cui ventre è stato generato il mostro di al-Qaeda che, dopo la caduta dei regimi nordafricani, ha trovato terreno fertile nell’Africa settentrionale. Il rischio, di questo passo, è che in Mali si riproponga, in versione riveduta e corretta, lo scenario afghano; così come la Libia e l’Egitto sono già divenuti poli di diffusione e finanziamento dell’ideologia salafita e del wahabismo più in generale. E dire che erano in molti, fino a poco tempo fa, a pensare che il cammino dell’Egitto, della Tunisia e della Libia verso la democrazia fosse ormai un dato acquisito. D’altronde era stato lo stesso Mohamed Morsi che aveva invitato la gente a venire a incontrarlo nel palazzo presidenziale, quello che un tempo apparteneva al suo predecessore – caduto poi in disgrazia – Hosni Mubarak. Lo stesso ragionamento ottimistico era stato espresso in riferimento alla Tunisia e alla Libia. Sta di fatto che i musulmani integralisti, di cui per oltre un decennio gli occidentali – Stati Uniti in testa – hanno denunciato la pericolosità combattendoli e indicandoli come causa di un inevitabile scontro di civiltà oltre che fonte di terrorismo planetario, sono sbarcati in Africa, bypassando sia il Sudan che la Somalia. Ecco perché è indispensabile che l’Occidente si svegli dal letargo, coinvolgendo la propria diplomazia in un confronto schietto e diretto con i Paesi della Mezzaluna. La questione di fondo è che dietro il salafismo, e più in generale il wahabismo, si celano interessi geostrategici legati alle immense ricchezze del sottosuolo africano. La posta in gioco è alta se si considera che quanto sta avvenendo affonda le radici nel passato. Dal 1976, infatti, la priorità della Lega musulmana mondiale è la diffusione del wahabismo in Africa, in particolare in quella subsahariana, come dimostra il fatto che in questa regione siano collocati ben 16 uffici della Lega e 36 delle 70 sedi della «Islamic relief organization». Sta di fatto che mentre l’Islam radicato da secoli nell’Africa occidentale ha sempre avuto una tradizione di grande tolleranza, elaborando una pacifica coesistenza con l’animismo e il cristianesimo, oggi il wahabismo semina zizzania fomentando gli scontri interreligiosi, come in Nigeria. Ecco perché la crisi maliana non può essere sottovalutata dall’Occidente, mettendo i Paesi arabi del Golfo di fronte alle loro responsabilità.