Opinioni

Dibattito / Legge elettorale e referendum, le grandi manovre. Oltre l'Italicum? Senza calcoli si può

Marco Olivetti giovedì 4 agosto 2016
Da alcune settimane, il dibattito mai sopito sulla legge elettorale è entrato in una fase nuova: l’Italicum non è più un intoccabile graal, voluto e difeso a ogni costo dal presidente del Consiglio Matteo Renzi e osteggiato radicalmente da tutti i suoi avversari. I risultati delle elezioni amministrative hanno dimostrato che, quali che siano le intenzioni che hanno portato all’adozione della legge n. 52/2015, essa oggi rischia di non giocare tanto a beneficio del Partito Democratico (che lo scorso anno la volle fortemente), quanto del Movimento 5 Stelle, che sembra destinato ad avvantaggiarsi della 'seconda scelta' degli elettori in un eventuale ballottaggio nazionale, sia esso con il Pd o (cosa oggi improbabile) col centro-destra. Di qui la non opposizione di Renzi a una revisione della legge, che tuttavia mette sul tavolo problemi assai complessi.Le critiche all’Italicum sono state sinora di diverso tipo. Vi è anzitutto quella più radicale, secondo cui si tratterebbe di un sistema antidemocratico, in quanto consentirebbe a un partito che ottenga, per esempio, il 25% dei voti al primo turno e consegua poi la maggioranza dei voti al ballottaggio, di conquistare una maggioranza di seggi, sproporzionata rispetto ai voti ottenuti in prima battuta. Si tratta di una critica eccessiva: il premio di maggioranza, infatti, opererebbe soltanto in seguito a un secondo voto – quello del ballottaggio – che determinerebbe il vincitore, proprio sulla base del fatto che questo consegue la maggioranza dei voti nel secondo turno. Ma se questa critica manca di base, poco fondata appare anche la visione ideologica che sta alla base dell’Italicum: la pretesa che un sistema elettorale debba produrre a ogni costo un vincitore la sera delle elezioni. Ed è infondata non perché sia irrilevante il problema di agevolare la formazione di una maggioranza parlamentare, premiando il partito o la coalizione più forte (vanno in questa direzione i sistemi elettorali dei principali Paesi europei), ma perché assolutizza quell’obiettivo, finalizzando a esso l’intera legge elettorale  e dimenticando gli altri problemi cui questa deve far fronte. Fra i quali si staglia la crisi della rappresentanza e l’esigenza di ricostruire un rapporto fra eletti ed elettori, che non può essere affrontato solo producendo un vincitore e concentrando le elezioni legislative unicamente sul rapporto fra i leader politici nazionali e il corpo elettorale. Questo, in fondo, era anche il grande errore della legge elettorale del 2005 (il cosiddetto Porcellum), di cui paghiamo tuttora le conseguenze.Pertanto, riaprire la questione elettorale, significa necessariamente misurarsi con la gigantesca questione della rappresentanza. Da questo punto di vista hanno ragione quegli esponenti pentastellati che hanno condizionato la revisione dell’Italicum a un ripensamento complessivo di esso. In effetti i ritocchi 'chirurgici' alla legge elettorali che molti hanno ipotizzato – l’attribuzione del premio non alla prima lista, ma alla prima coalizione; la previsione di un ballottaggio a tre, anziché a due; l’attribuzione del premio solo al primo turno e solo se una lista supera il 40% dei voti – appaiono troppo centrati sull’obiettivo di non consegnare l’Italia al M5S per essere davvero credibili.Questa legge elettorale ha molti difetti, ma non è antidemocratica, e se si vuole cambiarla, va ripensata a fondo. E a questo proposito si possono fare due osservazioni, una di merito e l’altra di metodo. Riguardo al merito, il ripensamento globale dell’Italicum include almeno due questioni di fondo: la prima è sul tipo di sistema - essenzialmente proporzionale o prevalentemente maggioritario - che si desidera costruire. Non si tratta di ridurre a una rigida alternativa una scelta che può collocarsi su molti punti intermedi fra soluzioni 'estreme' (del resto lo stesso Italicum è un sistema misto), ma di chiedersi se la scelta fatta con il referendum del 1993 è ancora condivisa o meno, salva l’esigenza di trovare comunque un punto di equilibrio fra esigenze di rappresentatività e di governabilità. Non è necessario, ripeterlo non può far male, desiderare a ogni costo 'un vincitore la sera delle elezioni': in fondo questa è una semplificazione puerile e distorsiva. Ma fra questa prospettiva e un ritorno puro e semplice al proporzionalismo sono possibili varie soluzioni e, anche a parere di chi scrive, una qualche dose di maggioritario è oggi necessaria al nostro sistema democratico. Se si accetta questa prospettiva, il ritorno a un sistema basato su collegi uninominali maggioritari appare una soluzione da considerare attentamente: è questo il modo oggi più ragionevole per ricreare un rapporto fra il cittadino e il 'suo' deputato, anche se forse non ci si può fermare lì ed occorrono correttivi volti a consentire la rappresentanza dei partiti medio-piccoli. La legge Mattarella resta, in questa prospettiva, un utile punto di riferimento, anche se, qualora si decida di mettere mano a essa, occorre più consapevolezza di quella dimostrata, ad esempio, dalla minoranza Pd, che ha recentemente proposto un confuso sistema misto (ribattezzato Bersanellum) che innesterebbe un premio di maggioranza su un sistema già maggioritario, rischiando di produrre un sistema ancor meno rappresentativo dell’Italicum. Infine, una indicazione di metodo. La legge elettorale è la più politica delle leggi. Ma forse anche per questo occorrerebbe che un eventuale ripensamento globale dell’Italicum non fosse condotto nell’ottica dei tatticismi di corto respiro, che, in fondo, avevano dominato il 'patto del Nazareno' tra Renzi e Silvio Berlusconi del 2014. Un patto di quel tipo sarebbe positivo solo se mettesse d’accordo tutte le principali forze politiche sulla legge elettorale, producendo una legge magari discutibile, ma condivisa, finendo per rappresentare, per questo solo motivo, un utile punto di equilibrio. Un patto basato su mere convenienze tattiche è invece perdente se è la regola imposta da alcuni ad altri sulla base di interessi elettorali di corto raggio.Per provare a uscire dal labirinto, si potrebbe pensare a un agile comitato di esperti (di saggi e di sagge) rappresentativo delle diverse aree politiche e culturali, cui chiedere di formulare una proposta da offrire alle forze politiche. Sarebbe un segno che la politica non vuole una legge elettorale solo per sé, ma per la democrazia italiana più in generale. Altrimenti, piuttosto che ricominciare a giocare coi tatticismi di sempre, è meglio tenersi la vituperata legge vigente, sperando che la sera delle elezioni vinca il migliore.