Opinioni

Il direttore risponde. Oltre la logica del «si curi chi può»

Marco Tarquinio sabato 23 giugno 2012
​Gentile direttore,
delle difficoltà cui è sottoposto il popolo greco sono piene le cronache, ma sul seguente aspetto in particolare credo sia necessaria una riflessione comune, sia dei cittadini che delle autorità degli altri Paesi dell’Unione europea. Mi riferisco alle conseguenze sul sistema sanitario del taglio delle spese pubbliche, che la Grecia ha dovuto accettare per l’ottenimento degli aiuti internazionali: alcuni farmaci salvavita non vengono più distribuiti, mi riferisco in particolare ai chemioterapici, e le forniture ospedaliere sono state fortemente ridotte, mettendo a rischio, per il futuro imminente, le prestazioni fondamentali alla popolazione. Non mi sfugge che la responsabilità di questa situazione grava pesantemente su una parte del popolo greco e soprattutto sulla sua classe politica, ma mi chiedo fino a che punto sia legittimo accettare non solo l’impoverimento e la drastica riduzione della qualità della vita della popolazione, ma anche il diritto alla vita stessa. Perché di questo si tratta: se non ti curi dal cancro muori, muori in fretta e soffrendo più del sopportabile. Nessun Paese europeo può accollarsi il debito di un altro, è stato ripetuto in questi giorni. Ma esiste un compromesso percorribile tra il sostegno indiscriminato e non sostenibile da parte degli altri Paesi comunitari e il «paga quanto devi restituirci, taglia quello che puoi, il resto non ci interessa»? Forse una quota del prestito strettamente correlata alle spese sanitarie essenziali, da restituire con modalità sostenibili (interessi zero e tempi lunghi)? Una tassa di scopo da finanziare con prelievi sulle transazioni finanziarie in tutta l’Unione? Un contributo di solidarietà da parte dei Paesi comunitari messi meglio della Grecia (tra questi sicuramente l’Italia), ricavato dalla rinuncia a qualche sistema d’arma non strettamente necessario (un F35 in meno)? Chiaramente quanto vale per i malati greci deve valere anche per quelli spagnoli, portoghesi, irlandesi e di tutti i Paesi dell’Unione. In conclusione, credo che se ignoriamo, come comunità e classe politica, situazioni tanto drammatiche di altri cittadini comunitari, delle radici cristiane dell’Europa non resti molto e si sia poco credibili nel rivendicarle.
Andrea Pandolfi
La riflessione che propone, caro signor Pandolfi, è stringente e coinvolgente. E, lungo un’autentica via dolorosa, va al cuore del problema (più volte indicato sulle nostre pagine e nei nostri commenti) del risanamento senz’anima imposto al popolo greco. Anch’io continuo a ritenere che un saggio "rigore" sia necessario, ma penso che non rappresenti l’unico strumento per fronteggiare gli attacchi delle ormai ben note centrali speculative contro l’Eurozona e, in particolare, in questa fase, contro la sua frontiera mediterranea (dove l’Italia è oggettivamente meno a rischio di Grecia, Portogallo e Spagna, ma – ahinoi – non così al sicuro come lei sembra ritenere). Una precisazione mi pare a questo punto necessaria: tutto ciò che sta accadendo, in Europa e a danno della vita degli europei, è frutto del tradimento dello spirito originario – solidale e responsabile – della costruzione comunitaria e del rifiuto ostinato e presuntuoso della grande cultura cristiana che aveva saputo sprigionare quella visione e dettarne le linee di pur faticoso sviluppo. Voglio dire che tornare a comprendere e a rispettare le radici cristiane d’Europa non è, soprattutto in questo tempo di crisi, una mera «rivendicazione», ma una opportunità che, ogni giorno di più, si fa necessità. Sono quelle radici che possono alimentare l’alternativa vincente anche alla mortificazione della salute negata e alla logica terribile del "si curi chi può". Avere valori chiari di riferimento consente, infatti, di non perdersi in una notte grigia, senza luna e senza stelle, dove tutto è uguale e niente e nessuno importano davvero. Avere valori forti aiuta a tenere accesa la luce che serve a cogliere le vere proporzioni delle diverse questioni e a mettere ogni questione al posto che gli spetta. Forse, gentile amico lettore, la risposta al dramma delle persone più povere e non in grado di pagare le medicine a case farmaceutiche che magari, di quando in quando, fanno anche beneficenza, ma in genere si dedicano soprattutto agli affari, passa per le tappe da lei (e non solo da lei) evocate: prestiti a tasso zero, Tobin Tax, rinuncia ad alcune spese militari. Ma certo nessuno di quei "gesti" è ragionevolmente possibile o anche solo comprensibile senza un senso morale generoso e alto. Quello stesso radicale (nel senso più bello del termine) senso del bene e del male, del dovere di edificare la giustizia e realizzare la pace che – come Papa Benedetto ci ha ricordato, nel settembre 2011, con il suo splendido discorso al Parlamento tedesco – nasce dal triplice incontro tra «Gerusalemme, Atene e Roma». Incontro che ha formato «l’intima identità dell’Europa» e la sostanza stessa della regola di vita delle comunità umane che chiamiamo «diritto», fondando l’una e l’altro su due perni: «la responsabilità dell’uomo davanti a Dio» e «il riconoscimento della dignità inviolabile (...) di ogni uomo». Ricco o povero, creditore o indebitato, sano o malato.